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Gli indigeni del Chiapas che ribaltano il “paradosso del caffè”

Nella Selva Lacandona c’è una caffetteria. Si chiama Capeltic, che in maya tseltal significa “il nostro caffè”, e sembra uno di quei bar che si trovano nei centri storici delle grandi città, con foto alle pareti, sedie di alluminio e ombrelloni nel dehor per ripararsi dal sole.

È strano vederla qui, a Chilón, un paese di settemila anime del Chiapas circondato dalla selva e da campi di mais e caffè. A fianco di Capeltic c’è Bats’il Maya, una fabbrica con un magazzino dove arrivano decine di sacchi pieni di grani di caffè in pergamino (ossia ricoperti da una buccia) da tutta la regione.

Cristina Méndez Álvarez, co-direttrice del gruppo di aziende e cooperative di economia solidale Yomol A’tel (yomolatel.org), affonda la mano in uno dei sacchi e mostra i chicchi ricoperti da una buccia gialla: entro poco tempo verranno sbucciati da una macchina, tostati in un forno, macinati,
quindi impacchettati e spediti.

“Abbiamo aperto il nostro impianto qui, nella Selva Norte del Chiapas, malgrado ci avessero consigliato di farlo nel centro del Messico o vicino alla frontiera con gli Stati Uniti, perché i costi logistici e di commercializzazione sarebbero stati molto inferiori -dice la co-direttrice dell’azienda,
formata da circa 360 famiglie indigene maya tseltales-. Abbiamo invece deciso di costruire l’impianto nella selva, malgrado Chilón sia isolato e quasi nessuno arrivi fin qui. Vogliamo stare
vicino ai produttori di caffè, ci piace pensare che possano sentire l’impianto come se fosse loro”. 

La giovane chiapaneca cammina tra le rumorose macchine di Yomol A’tel, parola che nella lingua
indigena locale significa “insieme lavoriamo, insieme camminiamo e insieme sogniamo”. Il progetto
nasce nel 2001 a partire da una riflessione, che durava da decenni, sul fatto che da sempre le famiglie indigene maya tseltales si limitavano esclusivamente a produrre la materia prima -il caffè- per poi venderlo agli intermediari a prezzi molto bassi. I contadini non avevano un ruolo
negli altri anelli della filiera, che permettono guadagni molto maggiori. Yomol A’tel vuole
rompere questa logica: l’idea è che i produttori che seminano e raccolgono il caffè imparino anche a spolparlo, tostarlo e a preparare un ottimo caffè in tazza, seguendo dei corsi di formazione
nella caffetteria Capeltic. “Seguiamo tutta la filiera: dal campo alla tazza. Sappiamo che ogni suo anello è importante: se il produttore ci manda chicchi di alta qualità, il caffè si rovina se il tostatore esagera con la fiamma. E se il tostatore fa un eccellente lavoro ma il barista non è in grado di estrarre il caffè, il prodotto in tazza sarà cattivo. Le nostre famiglie conoscono tutto il processo: questa è la nostra proposta di qualità”, dice Méndez Álvarez.

Secondo i calcoli di Yomol A’tel, un chilo di caffè in pergamino in chicchi che al produttore viene pagato 70 pesos (poco più di 3,3 euro), una volta venduto in tazza permette di guadagnarne circa 1.500 (71,5 euro). Per questo, il 40% del caffè di Yomol A’tel viene venduto nelle sue caffetterie: la Capeltic di Chilón e quelle di due prestigiose università messicane: l’Iteso di Guadalajara e l’Università Iberoamericana, nelle sue sedi di Città del Messico e Puebla.

“Avere i nostri bar ci permette pagare un prezzo giusto ai produttori, che sono l’anello più impoverito di questa filiera. Noi lo chiamiamo ‘paradosso del caffè’: le famiglie che seminano e
raccolgono questo prodotto, che è biologico, di altissima qualità e apprezzato in tutto il mondo,
vivono sotto la soglia di povertà -spiega Cristina Méndez Álvarez-. Yomol A’tel ridistribuisce la
ricchezza, facendo in modo che non si accumuli in mano di chi gestisce le caffetterie Capeltic”.
Secondo gli esperti, sono vari i fattori che stanno alla base del “paradosso del caffè”. Dalla natura
coloniale del prodotto che, come secoli fa, continua ad essere coltivato da persone indigene per essere esportato verso l’Europa e gli Stati Uniti, all’incapacità dei governi dei Paesi produttori di promuovere politiche per proteggerne la produzione e commercializzazione.

Nell’ultimo anno, il prezzo del caffè è più che raddoppiato. Questo aumento è causato in primo
luogo dagli effetti dei cambiamenti climatici in Brasile, che è il primo produttore mondiale della seconda bevanda più bevuta al mondo dopo l’acqua. Nel 2021, il Paese sudamericano ha dovuto affrontare un lungo periodo di siccità, seguito da una forte gelata, e ha immesso nel mercato 20 milioni sacchi di caffè in meno rispetto all’anno precedente, con un conseguente aumento del suo prezzo.

Ma c’è di più. “Ci sono due grandi mercati del caffè: quello reale, in cui le persone comprano
e vendono il prodotto, e in cui il suo prezzo dipende dalla domanda e dall’offerta, e quello finanziario -spiega Manel Modelo di Impacto café (impactocafe.org), una Ong che accompagna decine di piccoli produttori di caffè in Chiapas-. Quest’anno sono stati prodotti tra i 140 e 170
milioni di sacchi di caffè in tutto il mondo. Nel mercato finanziario si comprano e vendono in quattro o cinque giorni, quello che si fa il resto dell’anno è speculazione pura e semplice”.

Il prezzo del caffè non si decide quindi solo nel mercato reale, ma anche nella borsa di valori di New York, dove in questo momento è alle stelle. Lì operano sei grandi broker che hanno come principali clienti Nescafé, Kraft, Sara Lee e Procter & Gamble, ovvero le multinazionali che commercializzano circa la metà di tutto il caffè mondiale.

L’aumento del prezzo è sicuramente una buona notizia per i produttori, che devono però fare i conti con il fatto che sale e scende da un giorno all’altro. La volatilità crea molta incertezza e difficoltà nello stabilire quale sia il miglior momento per vendere, o fare qualsiasi tipo di proiezione a lungo termine. Per questo, i produttori preferirebbero un prezzo stabile, anche se più basso di quello attuale.

“Magari i prezzi rimanessero alti e stabili, e le famiglie smettessero di vivere alla giornata. Sappiamo che purtroppo presto scenderanno vertiginosamente”, commenta Cristina Méndez Álvarez, mentre mostra un camion pieno di pacchi di caffè con l’etichetta di Capeltic che sta per uscire dal magazzino per essere spediti in tutto il Messico, Stati Uniti e Spagna. “Non dico la quantità di problemi di trasporto che abbiamo, perché in questa strada che già di per sé è piena di curve, buche e rallentatori, spesso ci sono frane e cadono alberi. Ma non ci importa, è un rischio che siamo disposti a prendere per essere coerenti con il nostro tipo di progetto”.

Articolo pubblicato da Altreconomia nel luglio 2022

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