“In questo momento in Guatemala la democrazia è a rischio”
Orsetta Bellani, Altreconomia
In Italia non si parla quasi mai del Guatemala ma forse qualcuno ricorderà l’orribile guerra civile che per più di 30 anni si è combattuta nel Paese centroamericano. Probabilmente c’è chi ha sentito parlare del generale Ríos Montt, il dittatore che all’inizio degli anni Ottanta ha promosso una politica di “terra bruciata” che, con il pretesto di combattere la guerriglia, ha causato 200mila vittime e il genocidio del popolo indigeno maya. Qualcuno, forse, avrà anche letto che per quel genocidio, nel 2013, Ríos Montt è stato condannato e che si è trattato di un processo che ha fatto storia: è stato il primo ex capo di Stato a essere sanzionato per genocidio da un tribunale nazionale.
Meno noto è forse il contesto in cui tutto ciò è successo: in quegli anni il Guatemala stava vivendo infatti un rinnovamento del suo sistema giudiziario, grazie soprattutto alla Comisión internacional contra la impunidad en guatemala (Cicig), un organo promosso dalle Nazioni Unite che ha portato a un rafforzamento del sistema giudiziario guatemalteco e all’apertura di importanti processi, legati a crimini di “lesa umanità” o a casi di corruzione che coinvolgevano personaggi di spicco del mondo industriale e politico. Le inchieste mettevano in luce la profonda relazione tra l’élite economico-politica guatemalteca e la criminalità organizzata, e l’impunità con cui portavano avanti i loro interessi.
Tuttavia, subito dopo la sentenza a Ríos Montt l’oligarchia conservatrice guatemalteca ha iniziato a mettere un freno al processo: la condanna all’ex dittatore è stata annullata per motivi tecnici e la magistrata e la giudice che erano state in prima fila nel processo, Carla Paz y Paz e Yassmin Barrios, sono state fatte uscire di scena. Nel 2019, il presidente Jimmy Morales ha cacciato la Cicig dal Paese e l’anno precedente ha nominato a procuratrice generale della Repubblica la magistrata Consuelo Porras, che ha iniziato un vero e proprio processo di “purghe” interno al sistema giudiziario che ha obbligato molti suoi colleghi all’esilio e ha portato il dipartimento di Stato degli Stati Uniti a inserirla nella Lista engels, un elenco di “attori corrotti e antidemocratici”.
Ma negli anni precedenti qualcosa di profondo si era mosso nella società guatemalteca: nel 2015 le strade si erano riempite di manifestazioni contro la corruzione che hanno poi portato alla nascita del Movimiento Semilla, un partito progressista che alcuni settori della sinistra accusano di essere troppo lontano dalle classi popolari, contadine e indigene. In ogni caso la “Semilla”, il seme piantato, ha dato i suoi frutti: il suo candidato Bernardo Arévalo ha vinto le elezioni presidenziali del 20 agosto. Ma la magistratura non fa che mettere ostacoli nel cammino di Semilla ed è arrivata a sospendere il partito.
“Esiste un gruppo di politici e funzionari corrotti che non accettano il risultato delle elezioni e hanno creato un piano per rompere l’ordine costituzionale e violentare la democrazia. È in corso un colpo di Stato e il sistema giudiziario viene usato per violare la giustizia, burlandosi della volontà che il popolo ha espresso liberamente”, ha detto Bernardo Arévalo, supportato da grandi manifestazioni popolari.
Il 2 ottobre alcune organizzazioni indigene hanno iniziato a bloccare diverse strade del Paese, pretendendo il rispetto del risultato delle elezioni e l’allontanamento della procuratrice generale Consuelo Porras, del capo della Procura speciale contro l’impunità (Fiscalía especial contra la impunidad, Feci) Rafael Curruchiche e del giudice Fredy Orellana. La protesta si è a poco a poco estesa a nuove regioni del Paese e si sono uniti studenti, lavoratori di vari settori, cittadini in generale. Ora sono più di 60 le strade bloccate e nella capitale la popolazione sfila in lunghi cortei. Assicurano che il loro sciopero è indefinito: manifesteranno finché Porras, Curruchiche e Orellana non si dimetteranno.
Da quando Consuelo Porras è diventata procuratrice generale, 42 magistrati guatemaltechi si sono dovuti allontanare. Abbiamo intervistato uno di loro: Juan Francisco Sandoval. Nato nel 1982, Sandoval ha iniziato a lavorare come pubblico ministero nel 2003, sei anni dopo è entrato nel pool di magistrati della Fiscalía especial contra la impunidad (Feci) e nel 2015 è stato nominato a capo di questa unità. Dal 2021 vive in esilio negli Stati Uniti.
Sandoval, per molti anni il Guatemala è stato un Paese riconosciuto a livello internazionale per la sua strategia anticorruzione. Come si è arrivati alla situazione attuale?
JFS Le indagini che portavamo avanti nella Feci, con l’aiuto della Cicig, hanno messo in luce il modo in cui operano le strutture illegali che controllano lo Stato, e come l’élite economica guatemalteca utilizza questo sistema corrotto. Erano preoccupati perché il sistema giudiziario si è rafforzato e si sono riorganizzati, dedicando tutte le loro energie a smantellare gli apparati anticorruzione: prima di tutto hanno cacciato i membri della Cicig, poi hanno smantellato la Feci e quindi hanno iniziato a perseguitare i funzionari che avevano scoperto i loro gravi atti di corruzione.
Più in dettaglio, quali indagini portava avanti la Feci quando lei ne era a capo?
JFS Erano sulla corruzione di magistrati, di membri del governo e politici di primo piano, come l’ex presidente della Repubblica Otto Pérez Molina e l’ex vicepreside Roxana Baldetti, che sono stati poi condannati. Si trattava di casi riguardanti il finanziamento illecito di campagne politiche e le irregolarità avvenute durante le elezioni delle alte corti di giustizia, o indagini sul crimine organizzato e il riciclaggio di denaro. Ad esempio, un caso importante è stato quello legato alla corporazione edile brasiliana Odebrecht, che ha scosso l’intera America Latina e altri Paesi del mondo. Nel caso del Guatemala, 108 membri del Congresso avrebbero ricevuto almeno venti milioni di dollari in tangenti per beneficiare l’azienda. Come capo della Feci ero titolare di queste indagini, per questo è iniziata la persecuzione giudiziaria di cui sono vittima e che mi ha portato all’esilio negli Stati Uniti.
Quando parla di persecuzione, a cosa si riferisce esattamente?
JFS Tutto è iniziato nel maggio 2018, quando Consuelo Porras è stata nominata procuratrice generale della Repubblica. Da allora sono state fatte più di cento denunce ed emessi sei mandati di cattura contro di me. In varie occasioni ho ricevuto minacce di morte e ho anche scoperto che Mario Estrada, un ex candidato presidenziale che si trova in prigione negli Stati Uniti a causa delle sue relazioni con il Cartello di Sinaloa, ha cercato di organizzare un attentato contro di me. Si tratta di un caso documentato dalle autorità statunitensi che non è mai stato indagato da quelle guatemalteche, ma non mi stupisce più di tanto perché conosco il modo di operare di Consuelo Porras, ho lavorato insieme a lei tre anni e quattro mesi prima di andarmene.
Che cosa è successo alle indagini che la Feci stava portando avanti quando lei era a capo dell’unità?
JFS I casi sono stati smantellati e ora la Procura li sta usando per creare delle false accuse contro i magistrati, ad esempio adducendo che sono stati commessi degli abusi o degli errori durante le indagini.
Quest’anno ha vinto le elezioni il Movimiento Semilla, un partito nuovo che non rappresenta l’élite economica e politica tradizionale, ma sembra che l’oligarchia guatemalteca stia cercando di mettergli in tutti i modi i bastoni tra le ruote. Che cosa ne pensa?
JFS In questo momento in Guatemala la democrazia è a rischio. Le “forze oscure” che hanno organizzato la persecuzione contro di me e i miei colleghi stanno facendo la stessa cosa con la volontà del popolo guatemalteco, che si è espresso alle urne il 20 agosto.
Pensa che in un futuro prossimo lei e i suoi colleghi esiliati potrete tornare in Guatemala?
JFS Ho qualche speranza legata al nuovo governo, ma penso che il mio ritorno sia molto improbabile, non ci sono garanzie.