Simojovel. Se il Chiapas è in mano alla narcopolitica
Nel marzo scorso Victor Hugo García López mise nello zaino tre litri di pozol, una bevanda di mais rinfrescante e nutritiva che si consuma nel sudest del Messico, e uscì di casa. L’indigeno maya tzotzil si unì a circa 15 mila persone della zona di Simojovel e camminò per quattro giorni fino alla città di Tuxtla Gutiérrez, capitale dello Stato del Chiapas, per denunciare il contesto di insicurezza, corruzione e impunità che si vive nella regione.
“La situazione è grave, come fanno ad affermare che il Chiapas è sicuro? Qui siamo in migliaia a dire che le nostre vite sono in pericolo a causa dei narcopolitici, come gli uomini della famiglia Gómez Domínguez di Simojovel”, denunciò una donna al megafono durante la marcia di 150 chilometri che attraversò le montagne, sotto il sole inclemente del tropico.
Simojovel è un municipio a maggioranza indigena di una zona chiamata Altos de Chiapasdove, secondo il Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social (CONEVAL), l’88% della popolazione vive in povertà. Confina con i Municipi di Huitiupán, El Bosque e Pueblo Nuevo Solistahuacán, lontani dalle città commerciali e turistiche del Chiapas. In questa zona di piccoli paesi incastonati nelle montagne, la corruzione delle autorità ha spalancato le porte all’entrata della malavita organizzata.
A Simojovel abbiamo incontrato Padre Marcelo Pérez, un indigeno maya tzotzil che prima del 2011 viveva a Chenalhó (Chiapas). L’ex parrocchia del sacerdote si trova a pochi chilometri dal paese di Acteal dove, nel 1997, un gruppo paramilitare uccise 47 persone riunite in preghiera, durante l’ondata di repressione che ha seguito l’insurrezione dell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN). Le minacce delle milizie irregolari, che avevano preso di mira il sacerdote a causa del suo lavoro in difesa delle vittime del massacro di Acteal, lo costrinsero a trasferirsi a Simojovel.
Quando arrivò nella sua nuova parrocchia, il 4 agosto 2011, Padre Marcelo trovò una situazione preoccupante. «A Simojovel avvengono furti, omicidi, traffico di armi, droga e persone. Le denunce vengono ignorate dalle autorità che sono controllate da Ramiro e Juan Gómez Domínguez, i responsabili della violenza».
‘I Gómez’, come li chiamano in paese, sono due fratelli appartenenti al conservatore Partido Revolucionario Institucional (PRI), entrambi ex sindaci di Simojovel. Secondo le denunce del parroco e di una parte degli abitanti, i due politici locali gestivano la criminalità organizzata del paese; la malavita locale al servizio dei Gómez utilizzerebbe le cantinas – bar popolari in cui si vende alcool, frequentati per lo più da soli uomini – per portare avanti il traffico di droga e la tratta di persone.
I fratelli erano candidati alle elezioni del giugno 2015, uno come sindaco e l’altro come deputato al Congresso dello Stato del Chiapas. Qualche giorno prima della consultazioni, Juan Gómez Domínguez è stato arrestato per porto illegale di armi e possesso di stupefacenti. Poco dopo il fratello Ramiro si è dato alla fuga, ma le minacce contro Padre Marcelo e chi denuncia la violenza non sono finite.
Nel tardo pomeriggio a Simojovel il sole scende rendendo l’aria più respirabile. La fiera anima il paese e la piazza principale, in cui si trova la chiesa di Padre Marcelo, si riempie di gente, giochi, cibo. È difficile credere che pochi mesi fa, a solo un isolato da qui, è stato ucciso un uomo in pieno giorno.
«Il 4 novembre 2014 – racconta Padre Marcelo – l’ex sindaco Ramiro Gómez mi denunciò per calunnia, dicendo che le mie accuse nei suoi confronti sono infondate. Una ventina di giorni dopo, mentre stavo deponendo in merito presso la procura, vicino alla piazza centrale hanno sparato a un uomo chiamato Humberto Aguilar López, in presenza di due poliziotti, che non fecero nulla. E non è l’unico omicidio registrato negli ultimi mesi: una donna è stata fatta a pezzi con il machete e sono state uccise due persone nel mercato. Questa è la situazione che viviamo a Simojovel».
La mobilitazione della popolazione del marzo scorso è stata solo una delle espressioni del movimento di rivolta popolare contro il narcotraffico che, sotto forme differenti, si sta creando in Messico, e che continuerà visto che l’arresto dei due principali “imputati” non ha portato la pace nella zona.
A Simojovel tutto iniziò nel settembre 2013, dopo l’omicidio di una donna, e da allora sono sei le pellegrinazioni – che hanno l’aspetto di una manifestazione politica, oltre che religiosa – che il Pueblo
Creyente (Popolo Credente) ha organizzato per denunciare l’insicurezza. Il Pueblo Creyente è un movimento formato da varie organizzazioni, tutte vicine alla Teologia della Liberazione, una corrente cattolica latinoamericana che riscopre il messaggio di giustizia sociale contenuto nel Vangelo.
Padre Marcelo e i suoi collaboratori, il volto pubblico delle denunce popolari, sono vittime di minacce di morte che sono valse la richiesta di misure cautelari presso la Commissione Interamericana di Diritti Umani.
«Nel paese di Bochil, qui vicino, la situazione è ancora peggiore, ma non si è formato nessun movimento di protesta. Spesso la popolazione reagisce solo dopo un massacro, ed è proprio quello che vorremmo evitare – spiega il parroco – . Ad ogni modo, la situazione più grave in questa zona è quella del Municipio di Pueblo Nuevo Solistahuacán, dove in alcuni villaggi sono presidiati da gruppi paramilitari vicini all’ex sindaco, e la gente per paura non può uscire».
Los Diablos è un gruppo paramilitare composto da circa 40 uomini che ha una relazione di protezione reciproca con l’ex sindaco di Pueblo Nuevo Solistahuacán, Enoc Díaz Pérez, del socialdemocratico Partido de la Revolución Democrática (PRD). Díaz Pérez è stato arrestato nel gennaio scorso quando è stato diffuso un video in cui, insieme ad un gruppo armato irregolare chiamato Proyecto Amigo Revolucionario No.7, sequestra e picchia due industriali locali, colpevoli di aver distribuito in paese un articolo che denunciava l’insicurezza e responsabilizzava il sindaco.
L’ex sindaco di Pueblo Nuevo Solistahuacán era già stato in carcere nel 2008 per aver ucciso insieme al fratello – anche lui politico del PRD – due poliziotti che lo avevano accusato di aver violentato una donna. In seguito, Enoc Díaz Pérez collezionò una serie di denunce per arresto arbitrario, tortura, percosse, omicidio e delinquenza organizzata.
Dopo il suo arresto, la situazione a Pueblo Nuevo Solistahuacán non è molto migliorata: i gruppi paramilitari continuano ad operare, le sparatorie non sono terminate e il Consiglio Municipale che era stato nominato per sostituire il sindaco è stato sciolto, perché considerava il paese ingovernabile.
Anche qui, come a Simojovel, il parroco tuona: «Il problema sono i costanti abusi di magistrati e poliziotti: la corruzione e le estorsioni sono una costante», denuncia Padre Blas Alvarado Jiménez.