I colombiani bocciano la pace
(Foto: Christian Escobar Mora/EFE)
Erano le sei di domenica pomeriggio quando la Colombia ha scoperto di essere ancora in guerra. Il plebiscito popolare non ha approvato gli accordi di pace firmati il 26 settembre tra il governo e il gruppo guerrigliero delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia(FARC) dopo quasi 52 anni di guerra e 4 di negoziazioni, e che prevedeva la smobilitazione delle FARC, la loro integrazione alla vita politica, una riforma agraria e un sistema di giustizia transizionale per giudicare i crimini di guerra.
Victoria Márquez, una bogotana di 32 anni che collabora con la Universidad Nacional de Colombia, lo ha scoperto guardando la televisione in casa di un amico: “il 50,22% della popolazione ha votato NO; il 49,77% ha votato SI”, diceva il notiziario. “L’astensionismo supera il 62%”.
Victoria si è portata le mani al volto, mentre un’amica l’abbracciava. Piangevano, incredule. “Il NO ha vinto nelle città, ma nei territori in cui le persone hanno vissuto la guerra ha vinto il SI. Come si sentiranno oggi le persone che la guerra la vivono sulla propria pelle?”, chiede Victoria. “Quelli che stavano davanti alla porta di casa con la valigia pronta e che pensavano ci sarebbe stata un’altra opportunità, che ci sarebbe potuto essere qualcosa di diverso, sono condannati a più dolore, più odio, più guerra”.
Circa un’ora dopo, a pochi isolati da lì, il presidente conservatore Juan Manuel Santos, il grande promotore del processo di pace, faceva una breve apparizione pubblica. “Sono il primo a riconoscere questo risultato, in cui la metà del paese ha detto SI e l’altra metà ha detto NO. Il cessate il fuoco bilaterale e definitivo continua e continuerà vigente”, ha affermato il presidente, che ha convocato tutte le forze politiche a una riunione per aprire spazi di dialogo per determinare il cammino da seguire.
La vittoria del NO ha colto completamente di sorpresa la popolazione colombiana. La ratificazione popolare degli accordi di pace era data così per scontata che, almeno pubblicamente, il governo affermava di non avere un “piano B”. Non si sa esattamente cosa succederà ora. Le FARC si smobiliteranno comunque? Sarà difficile che lo facciano, se in cambio non riceveranno nulla. Il processo di pace andrà completamente a monte? Si rinegozieranno gli accordi? Ciò che è sicuro, è che il plebiscito aveva valore solo politico, e che l’accordo firmato continua ad avere un effetto giuridico innegabile e irrevocabile.
“Se vincerà il NO, si dovranno rivedere gli accordi, dovranno essere convocati un’assemblea costituente e un referendum”, ci ha detto in intervista prima del plebiscito Ernesto Macillas Tobar, Senatore del Centro Democrático, partito ultraconservatore che ha promosso il NO. “Il presidente Santos dice che non possono essere cambiati, lo fa per strategia, perché se dicesse che si possono cambiare, tutto il paese voterebbe NO”.
Domenica sera, nella sede del Centro Democrático di Bogotá, la Colombia confermava di essere un paese profondamente di destra. Riuniti di fronte a un palco in cui si trovavano i leaders del partito, il popolo festeggiava. Sbandierava i colori nazionali e scomodava il mito di David e Golia per spiegare la storica e inattesa vittoria. Affermavano di volere la pace, ma di non essere d’accordo con i punti previsti dall’accordo firmato, e che la partecipazione delle FARC alle prossime elezioni avrebbe portato il “castro-chavismo” in Colombia.
“Sì, è stato possibile!”, urlavano i sostenitori del NO domenica sera. Lo stesso grido che i sostenitori del SI lanciavano il 26 settembre davanti agli schermi giganti disposti nelle piazze di tutto il paese per trasmettere la firma degli accordi di pace. Quando piansero ascoltando le parole del comandante delle FARC Timochenko che chiedeva perdono per tutti i crimini commessi, e si commossero quando Santos terminò il suo discorso citando le parole dell’inno nazionale, che ora sembrano ingenue: “Colombiani, è finita la terribile notte”.
Articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 4.10.2016.