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Nobel per la Pace allo sconfitto Santos

Un Nobel per la Pace a pochi giorni dal più grande fallimento politico della sua carriera. Il premio va a Juan Manuel Santos, presidente conservatore colombiano che ha intavolato con le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) un negoziato di pace dopo aver cercato di annientarle per sei anni, ai tempi in cui era Ministro della Difesa del governo ultraconservatore di Álvaro Uribe.

Trattative infinite, quattro anni di tira e molla, fino al 26 settembre, quando Santos e il leader delle FARC Rodrigo Londoño – meglio conosciuto come Timochenko – hanno finalmente firmato un accordo.

Che il presidente colombiano puntasse al Nobel per la Pace, in Colombia lo pensavano tutti. Ma nessuno credeva che ce l’avrebbe fatta dopo il risultato del plebiscito di domenica scorsa, quando la popolazione colombiana ha deciso di non approvare gli accordi di pace firmati.

La guerra durata più di 50 anni e che è costata più di 220mila morti e 6 milioni di sfollati non è finita, pensarono in quel momento molti colombiani. Santos si dimetterà, visto che ha costruito tutta la sua credibilità politica sul successo di questo accordi di pace, pensarono altri.

Ma Santos non si è dato per vinto, e ha convocato un (complicato) dialogo nazionale con l’intenzione di includere nelle trattive per la pace i delegati del Centro Democrático, il partito che rappresenta i colombiani che hanno votato No al plebiscito.

Il Comitato per il Nobel norvegese ha affermato di aver preso in considerazione proprio questa reazione di Santos alla disfatta di domenica, mentre non ha evidentemente valutato i 3mila falsos positivos che si registrarono in Colombia ai tempi in cui Santos era Ministro della Difesa. Quando i militari sequestravano e assassinavano civili innocenti, per presentarli poi come guerriglieri uccisi in combattimento e incassare il riconoscimento corrispondente.

E non ha valutato lo sforzo che hanno dedicato al processo di pace gli altri attori coinvolti nei negoziati, come le stesse FARC che, secondo l’ex candidata presidenziale Ingrid Betancourt, per più di 6 anni prigioniera della guerriglia marxista, meritavano il Nobel al pari di Santos.

“Esiste un rischio reale che il processo di pace venga interrotto e che la guerra civile esploda nuovamente”, ha affermato in un comunicato il comitato di Oslo. “Il Comitato spera che il premio Nobel per la Pace gli dia [a Santos] la forza per trionfare in questo difficile compito”.

Un Nobel che vuole legittimare e dare impulso al processo di pace, motivare governo, FARC e rappresentanti del No a intraprendere un nuovo cammino comune.

Il premio amplifica anche l’appoggio internazionale al processo di pace e potrebbe motivare il 62% dei colombiani che domenica non sono andati a votare, ad interessarsi maggiormente alle trattative. Sicuramente renderà più difficile per Santos venire meno all’impegno di rispettare il cessate al fuoco bilaterale, almeno prima del 10 dicembre, quando ci sarà la cerimonia di consegna del premio.

Articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 8.10.2016.

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