Elezioni Usa: perché tanti latinos voteranno Donald Trump?
Il Bronx è un angolo di America Latina a New York. Il 52% della popolazione del distretto, che non è più il posto malfamato descritto dai film di Hollywood, è di origine latinoamericana, gli avvisi nella metropolitana sono bilingue e i ristoranti vendono empanadas e tacos.
Antonio Meléndez, che il nome del Bronx ce l’ha cucito sulla felpa, vive qui da tutta la vita ed è figlio di una coppia di portoricani. Il suo spagnolo è un po’ arrugginito ma assicura di sentirsi “molto latino”, oltre che repubblicano. Il 19 aprile, quando Donald Trump ha vinto le primarie nello Stato di New York, è uscito a festeggiare. “L’economia va malissimo da queste parti e bisogna sistemarla, quando ero giovane non c’era tanta gente povera e senza casa. Credo che Trump potrebbe rappresentare un vero cambiamento in questo Paese”, spiega l’uomo, che afferma di apprezzare la fermezza del candidato repubblicano.
Donald Trump ha fatto breccia nei cuori di un elettorato deluso da decenni di politiche neoliberali, grazie ad una proposta protezionista che prevede ad esempio la rinegoziazione dei trattati di libero commercio come il NAFTA (North American Free Trade Agreement). Una politica che ha il sapore di una guerra commerciale contro il Messico, in cui molte imprese statunitensi hanno delocalizzato la loro produzione.
Antonio Meléndez non è l’unico ispano-statunitense che simpatizza per Trump. Secondo un sondaggio pubblicato a febbraio da The Washington Post e Univision Noticias, il 16% dei 27,3 milioni di elettori statunitensi che si riconoscono come latini ha una buona opinione di Trump, mentre un’indagine più recente di Los Angeles Times e Latino Decisions indica che sono il 10%. Non è una percentuale molto alta, ma significa comunque che almeno 2,7 milioni di persone forse voteranno l’8 novembre per un uomo che li ha definiti “narcotrafficanti e violentatori”.
Quando ha ascoltato quelle parole, come il 74% dei votanti latini, Antonio Meléndez si è sentito offeso. Degli Stati Uniti, infatti, dice di amare proprio la capacità di accogliere i migranti. “Tutti devono avere la possibilità di essere cittadini statunitensi, tutti hanno il diritto di stare qui. Gli Stati Uniti sono un Paese libero in cui può venire qualsiasi persona”. Meléndez preferisce non esprimersi sulle dichiarazioni di Trump sulla necessità di deportare gli 11 milioni di migranti irregolari che si stima vivano negli Stati Uniti, e di costruire un “grande e bel muro” di 3mila chilometri sulla frontiera con il Messico, per impedire il loro passaggio. Meléndez considera le idee di Trump come intimidazioni “che non verranno mai messe in pratica”, al contrario del 57% dei messicani che, secondo un recente sondaggio dell’istituto Parametría, è convinto del contrario.
Le dichiarazioni di Trump sui latini sono, in realtà, molto contraddittorie. Il candidato repubblicano ha affermato di amare il Messico e di avere molti amici messicani. Nel suo discorso di investitura, ha però reiterato la necessità di costruire un muro frontaliero e mettere fine alla migrazione illegale. Allo stesso tempo, il 5 maggio scorso, giorno di una festa nazionale messicana che viene celebrata più negli Stati Uniti che in Messico, il magnate ha pubblicato una foto in cui appariva sorridente davanti a un taco bowls, pietanza che in realtà non esiste in Messico. “Buon 5 maggio”, dice la didascalia della foto. “I migliori taco bowls si preparano nel ristorante della Trump Tower. Amo gli ispanici!”.
“È opportunismo politico, Donald Trump è sempre stato molto erratico nelle sue dichiarazioni”, afferma Laura Carlsen del Center of International Policy. Secondo l’analista politica una sua vittoria non sarebbe un pericolo solo per Stati Uniti e Messico, ma per il mondo intero. “Trump ha iniziato la campagna con dichiarazioni molto offensive, che hanno provocato una reazione forte nella società messicana e in quella statunitense. Immagino che in seguito i suoi collaboratori abbiano iniziato a dirgli che è impossibile vincere le elezioni presidenziali senza il voto latino”.
Myriam Witcher è nata a Bogotá, capitale della Colombia, ed è una donna d’affari. Si occupa di esportare caffè e fiori dal suo Paese, e da circa sedici anni ha messo radici negli Stati Uniti. Il 6 ottobre 2015, si è addormentata con la rivista People aperta sul petto. La copertina di quel numero mostrava una foto di Trump raggiante, in compagnia della moglie e del figlio. Quella notte, Myriam sognò di incontrarlo e dargli la mano.
Un paio di giorni dopo, la donna realizzò il suo sogno. Durante un meeting repubblicano a Las Vegas, Trump la vide tra il pubblico mentre sventolava con entusiasmo la sua copia di People, e la invitò a salire sul palco. “Sono ispanica e voto per il signor Trump. Signor Trump, ti amiamo!”, gridò Witcher euforica. “Quel giorno fu un giorno grande per me, non lo dimenticherò mai”, confessa oggi. La donna assicura che il suo show non era stato concordato con lo staff del candidato. Da allora, però, Witcher è diventata il simbolo dei latini che simpatizzano per Trump: è stata intervistata da numerose testate giornalistiche e ha recentemente pubblicato un libro in cui racconta il suo amore per il magnate.
La signora Witcher assicura che la lettura dei libri di Donald Trumap è stata fondamentale per la sua formazione professionale, e ricorda con orgoglio e nostalgia il giorno in cui suo padre, un riconosciuto medico, lo ha incontrato nella Trump Tower di New York.
Quello di Witcher sembra essere un amore incondizionato: “Quello che mi appassiona è l’essere umano meraviglioso, la sua essenza. La gente non lo conosce perché i mezzi di comunicazione danno un messaggio completamente erroneo su di lui -spiega-. Il suo cuore è così bello, aiuta con tante cose di carità. Potrebbe essere il miglior presidente del mondo intero. Hillary Clinton va verso il cammino del comunismo, qui lo chiamano socialismo ma non è socialismo quando c’è una dittatura”.
Sul tema della migrazione, Witcher considera una discriminante la moralità di chi ha la possibilità di arrivare e vivere negli Stati Uniti con documenti regolari, e chi entra nel Paese senza permesso. Racconta della sofferenza che vive ogni volta in cui pensa alle persone che muoiono nel tentativo di attraversare la frontiera meridionale del Paese, ma non ammette che si permetta ai violentatori di farlo. “I violentatori non dovrebbero vivere in nessun posto al mondo, dobbiamo mettere fine a tutto ciò, abbiamo perso moltissimi cittadini americani di tutte le razze. È vero, ci sono moltissimi esseri umani belli, però per il bene di Messico e degli Stati Uniti, tutti devono avere i propri documenti in regola”.
“Non mi piace quel pagliaccio (Trump, ndr), è una marionetta delle imprese. Ma quella che mi spaventa è Hillary Clinton, lei ha l’appoggio delle aziende che sostengono i centri di detenzione per migranti. Trump ci sta facendo un favore, grazie a lui i razzisti stanno facendo outing”, dice Antonia Álvarez, donna di origine messicana che fa parte dell’Asamblea de Derechos Civiles de Minnesota, un’associazione statunitense che lotta per i diritti dei migranti. Antonia Álvarez è preoccupata perché gli ispanici sono il gruppo che meno vota negli Stati Uniti: secondo il Pew Hispanic Center, solo il 44% della popolazione di origine latinoamericana si reca alle urne. “Molti di noi hanno figli nati negli Stati Uniti, però spesso questi ragazzi non votano perché i genitori hanno insegnato loro che in Messico votare non serve a nulla, e per questo non vogliono votare neanche qui”.
Secondo David Ayon, politologo e collaboratore dell’istituto di ricerche Latino Decisions, Trump seduce gli elettori facendo loro credere di avere successo negli affari e di sapere come creare posti di lavoro. “Possiamo riscontrare nella cultura politica latinoamericana una tendenza a simpatizzare per gli uomini forti, come Perón o Chávez, e Trump cerca di mostrare la sua forza proprio attaccando gruppi vulnerabili come i migranti irregolari”, spiega Ayon.
Il politologo sottolinea come molti statunitensi di origine latinoamericana, anche i cubani che sono tradizionalmente considerati un gruppo conservatore, si sono sentiti offesi da questo attacco e si sono raccolti intorno all’esigenza di non permettere la sua elezione. “Abbiamo dati che provano un forte aumento delle richieste di cittadinanza da parte degli ispanici”, afferma Ayon. Secondo il Department of Homeland Security, nel 2016 le nazionalizzazioni sono aumentate del 20% e alcuni analisti affermano che buona parte della comunità latina ha preso la decisione in funzione anti-Trump. Nella storia degli Stati Uniti, non c’erano mai stati tanti elettori ispanici.
Articolo pubblicato dal mensile Altreconomia nell’ottobre 2016.