Stentano le deportazioni di Trump in Messico ma negli Usa gli stranieri vivono nella paura
Orsetta Bellani, Altreconomia (Foto: O.B.)
C’è meno gente per strada negli Stati Uniti da quando Donald Trump ha ordinato la deportazione di tutte le persone prive di permesso di soggiorno. “Quando inizia a girar voce che l’Immigration and customs enforcement (Ice) sta facendo delle retate, le persone straniere che vivono in zona iniziano ad avere paura di uscire di casa, di salire sull’autobus, di andare a lavorare o portare i figli a scuola”, racconta Helena Olea, vicedirettrice di Alianza americas, Ong impegnata per i diritti della popolazione latina negli Stati Uniti.
“Anche chi ha regolare permesso di soggiorno vive con il timore di essere arrestato durante una retata, per il suo aspetto o per la lingua che parla. La paura è diventata pervasiva e riguarda tutte le classi sociali, conosco professori universitari di origine latina che vivono regolarmente negli Stati Uniti da decenni e che ora temono di essere deportati”.
In realtà i numeri dicono che finora le deportazioni non sono state come Trump aveva annunciato: durante la sua prima settimana di governo, il Messico ha ricevuto poco più di quattromila persone, mentre negli anni scorsi ne sono arrivate anche 6.500 alla settimana. Infatti, lo “zar della frontiera” di Trump, Tom Homan, si è dichiarato insoddisfatto perché il ritmo delle deportazioni non è stato quello che si aspettava. In ogni caso, secondo Helena Olea, il clima di terrore nella società statunitense non è creato tanto dal numero di persone trasferite ma dal fatto che lo stesso governo diffonda immagini di persone in catene che salgono su aerei militari per essere espulse, e dalla propaganda anti migranti che viene portata avanti in modo martellante.
Sono circa 11 milioni le persone sotto il mirino dell’Ice che il presidente statunitense definisce come “criminali”, anche se in realtà la maggior parte di loro non ha commesso nessun delitto ed è solo priva di permesso di soggiorno. La comunità più grande di immigrati senza regolari permessi è quella messicana, composta da circa cinque milioni di persone.
“Che sia chiaro: i messicani che vivono là sostengono l’economia degli Stati Uniti: nelle campagne, nel Terzo settore, in tutto -ha detto la presidente messicana, Claudia Sheinbaum-. Gli Stati Uniti non sarebbero quello che sono se non fosse per il nostro popolo, fatto di lavoratori. E se tornano in Messico li riceveremo a braccia aperte, per dare loro tutto quello che si meritano”.
Come altri Paesi latinoamericani, il Messico ha risposto all’emergenza deportazioni con un piano chiamato México te abraza, che prevede la costruzione di nove centri di “attenzione” lungo la frontiera con gli Stati Uniti per le persone deportate, che ottengono anche una modica quantità di denaro e un passaggio in autobus al loro luogo di origine. Secondo alcuni esperti, però, la strategia di ricezione del governo non è sufficiente.
“Una delle cose che mi preoccupano è che le persone non messicane che vengono deportate in Messico (che sono circa un quinto del totale, ndr) non ricevano assistenza. È una questione di volontà politica e di razzismo: quando a Tijuana sono arrivati circa 20mila ucraini sono stati accolti a modo, ma i migranti che non sono bianchi vengono trattati diversamente”, dice Sarah Soto, fondatrice di Espacio migrante, un’organizzazione che gestisce uno spazio culturale per migranti e un centro dove le famiglie possono pernottare a Tijuana, città messicana che si trova sulla frontiera con gli Stati Uniti.
L’altra grande preoccupazione di Sarah Soto sono le oltre 30mila persone che sono rimaste “varate” in Messico a causa della decisione di Trump di chiudere le frontiere da un giorno all’altro e di sospendere l’uso dell’applicazione Cbp One, con i richiedenti asilo che potevano fissare un appuntamento con le autorità statunitensi. Di colpo l’applicazione ha smesso di funzionare e sono stati cancellati i tremila appuntamenti programmati e i 30mila che si trovavano in lista di attesa. Queste persone, che provengono da diversi Paesi, si trovano ora bloccate in varie regioni del Messico. “Vivono in una grande incertezza. Non abbiamo idea di quello che succederà e siamo molto preoccupate”, dice ancora Soto.
Helena Olea di Alianza Americas sottolinea che la sospensione del diritto di asilo ordinata da Trump è illegale. “Non si riconosce più che le persone possano avere necessità di protezione ma l’Immigration and nationality act (Ina) stabilisce il diritto a richiedere asilo, e lo fanno anche alcuni accordi internazionali che gli Stati Uniti hanno firmato”, prosegue.
Quella che Trump definisce come “invasione dal Messico” non esiste, e il numero di migranti che attraversano irregolarmente i più di tremila chilometri di frontiera tra Messico e Stati Uniti si è ridotto del 76% rispetto al massimo storico registrato nel dicembre 2023.
Secondo il governo messicano, il risultato si deve ai programmi sociali che ha promosso, anche in alcuni Paesi centroamericani, per dare una risposta alle cause delle migrazioni, ma in verità la strategia principale che i presidenti messicani hanno usato per frenare i flussi migratori è stata la “mano dura”, con il dispiegamento della Guardia nazionale. La militarizzazione del territorio finalizzata al contenimento dei flussi migratori è cresciuta nel maggio 2019 quando Trump, durante la sua prima amministrazione, ha fatto pressione sul governo vicino usando per la prima volta la minaccia dei dazi. Allora le barriere commerciali che gli Stati Uniti avrebbero imposto al Messico se l’ex presidente Andrés Manuel López Obrador non avesse frenato il flusso dei migranti irregolari sarebbero state del 5%. In risposta López Obrador inviò seimila agenti della Guardia nazionale sul confine tra Messico e Guatemala, con lo scopo di creare un filtro per i migranti diretti verso Nord e impedire loro di avvicinarsi alla frontiera con gli Stati Uniti.
Da allora, la Guardia nazionale ha commesso numerose violenze nei confronti delle persone in transito per il Messico e in varie occasioni ha sparato contro gruppi di migranti centro e sudamericani, uccidendoli. “Il Messico non si trova in una situazione encomiabile rispetto alle persone migranti, non ha una legittimità morale che gli permetta di denunciare gli abusi che avvengono negli Stati Uniti”, ha affermato durante un’intervista con la stampa locale Santiago Aguirre del Centro di diritti umani Agustín Pro Juárez (Centro ProDH), tra le principali organizzazioni che si battono per i diritti umani nel Paese.
Ora è Claudia Sheinbaum a rispondere alle minacce commerciali di Trump -più dure, visto che si parla di dazi del 25%- inviando 10mila agenti della Guardia nazionale sulla frontiera con gli Stati Uniti. Analisti e attivisti sono d’accordo sul fatto che militarizzare le frontiere o chiuderle non serve a frenare le migrazioni, ma solo a renderle più pericolose. Il costo per attraversare le frontiere sarà maggiore per i migranti, a beneficio delle organizzazioni criminali che lucrano con il traffico di esseri umani.
Articolo pubblicato da Altreconomia il 15 febbraio 2025