Una sciagura di nome litio sotto casa
Orsetta Bellani, L’Espresso (Foto: O.B.)
Mariela Lankai non era affatto contenta quando ha scoperto che sotto i suoi piedi si trova un giacimento di litio. “Per estrarlo serve un sacco di acqua e nel mio villaggio, nella zona di Salinas Grandes, abbiamo paura di rimanere senza. Come si può vivere senz’acqua?”, dice l’indigena di etnia kolla del Jujuy, una provincia arida del nord dell’Argentina. “Temiamo anche che l’inquinamento causato dalla miniera possa mettere in crisi la nostra economia, basata sulla produzione di sale e sul turismo”.
Jujuy è una terra di vulcani, rocce dai colori accesi e saline bianche, sotto le quali si trova il minerale che viene usato soprattutto nella produzione di batterie ricaricabili, ma anche della ceramica e di alcuni farmaci. Il metodo di estrazione più comune del litio, che è un componente fondamentale nella fabbricazione di cellulari, laptop ed auto elettriche, consiste nel prelevare una salamoia ricca del minerale dalla profondità della salina e porla poi in vasche, dove viene fatta evaporare. La salamoia dev’essere anche sciacquata con una quantità ingente di acqua: circa 2 mila litri per ogni chilo di litio prodotto.
Un’esagerazione che ha portato un tribunale ad imporre alla compagnia Livent, accusata di aver prosciugato un intero fiume, di sospendere l’estrazione del litio nella provincia argentina del Catamarca, a circa 500 km dal Jujuy. La denuncia contro la compagnia statunitense, che è stata anche responsabile dello sversamento a terra di 20 mila litri di acido e di aver sub fatturato l’esportazione del carbonato di litio, era stata presentata dalle comunità indigene locali.
La lotta delle comunità del Jujuy iniziò quando, nel 2010, i rappresentanti di una compagnia mineraria arrivarono nei villaggi di Salinas Grandes per chiedere l’autorizzazione ad estrarre il litio, obbligatoria secondo la Costituzione e il Convegno 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sui popoli originari. Nessuno allora, tra gli indigeni kolla, sapeva a cosa servisse il minerale, né che il suo consumo fosse in continua crescita, soprattutto a causa della decisione di alcune fabbriche automobilistiche di incrementare la mobilità elettrica. Ad esempio, BMW ha annunciato che nel 2030 la metà dei suoi veicoli saranno totalmente elettrici, e ha firmato un contratto di rifornimento di litio con il governo argentino per quasi 300 milioni di euro. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, fra quindici anni nel mondo esisteranno quasi 125 milioni di auto elettriche, contro i tre milioni del 2017.
Dopo la visita della compagnia mineraria, i 38 villaggi indigeni di Salinas Grandes e della laguna di Guayatayoc si sono messi ad indagare sull’estrazione del litio e le sue conseguenze, e hanno quindi deciso di organizzarsi contro le compagnie estrattive. Sono ricorse alla giustizia, hanno bloccato strade e organizzato manifestazioni, che sono state represse dalla polizia anche con spari ad altezza d’uomo. Le comunità non si sono date per vinte e nell’agosto 2023 hanno percorso quasi 2 mila km per protestare davanti al Congresso della capitale Buenos Aires. Hanno così impedito che si iniziasse ad estrarre il litio a Salinas Grandes, anche se la compagnia Lition Energy è riuscita a mettere in moto la tappa di esplorazione, che consiste nel localizzare i giacimenti di un minerale.
“Le compagnie minerarie dicono di portare lavoro, ma offrono impieghi sottopagati e versano allo Stato argentino solo il 3% degli introiti. Si riempiono le tasche mentre i nostri ospedali danno un pessimo servizio”, dice Mariela Lankai, che vive ad Aguas Blancas, un villaggio di poche case di adobe tra cui i lama e le pecore pascolano liberi.
Il villaggio di Mariela si trova lungo la Strada 52, che collega Argentina e Cile e si arrampica a 5 mila metri sul livello del mare. La carreggiata unisce due vertici del cosiddetto “triangolo del litio”, figura che appare tracciando una linea immaginaria tra Salinas Grandes, le saline cilene di Atacama e quelle di Uyuni in Bolivia. Secondo il United States Geological Survey, le distese di sale che caratterizzano il paesaggio di questa regione ospitano il 60% del litio che esiste nel mondo.
È sotto il Salar di Uyuni che si trova la più grande riserva mondiale di litio, un minerale così strategico da motivare, secondo l’ex presidente Evo Morales, il colpo di Stato del 2019 contro di lui. Sotto Uyuni ci sono 21 milioni di tonnellate di “oro bianco”, ma per ora se ne riescono a produrre solo 100 tonnellate all’anno.
“Il modello di Evo Morales prevedeva che l’estrazione del litio fosse monopolio della compagnia statale Yacimientos de Litio Bolivianos (YLB), ma le cose non sono andate come si sperava, a causa della mancanza di tecnologie adeguate e di formazione del personale”, dice un funzionario di YLB. Aggiunge che nel 2023 il governo boliviano ha firmato accordi con compagnie russe e cinesi per implementare la cosiddetta “estrazione diretta” del litio, che dovrebbe avere un minore impatto ambientale e un maggiore rendimento: si prevede che il Salar di Uyuni possa arrivare a produrre 14 mila tonnellate di litio all’anno.
A poche centinaia di chilometri da Uyuni, in Cile i ritmi di estrazione sono invece già molto elevati: grazie a due compagnie che lavorano nel Salar di Atacama, una delle quali è della famiglia Pinochet, il paese è il secondo produttore a livello mondiale. Nel pianeta si produce tanto litio che il suo prezzo ultimamente è crollato, ma le compagnie estrattive sono così sicure della continua crescita della domanda da non essere preoccupate. Da parte sua l’Argentina, che nell’ultimo anno ha aumentato l’estrazione di litio del 46%, è diventata il quarto produttore mondiale.
“Temiamo che l’estrazione del litio ci obblighi a sfollarci dai nostri territori”, dice Mirta Barconte, un’indigena kolla che lavora come guida turistica nella piazzola di sosta di Salinas Grandes. È stata costruita dalle comunità indigene locali lungo la strada 52 per vendere artigianato e offrire tours turistici nella salina, un progetto che economicamente sta funzionando molto bene. “Il turismo cresce di anno in anno e siamo felici di lavorare autonomamente e senza padroni. Difenderemo i nostri impieghi e la nostra salina, non ce ne andremo da qui”, dice la guida.
“Sicuramente le compagnie minerarie sul momento porteranno lavoro, non dico che non sia vero, ma sul lungo termine, quando il litio sarà finito, se ne andranno e ci lasceranno un territorio inquinato e senz’acqua, dove non sarà possibile vivere né lavorare: i turisti non verranno più e il sale sarà invendibile perché contaminato. Le generazioni future saranno costrette a migrare”, dice José Chávez, che vende artigianato fatto di sale nella piazzola di sosta. “Non siamo contrari al litio in sé ma al modo in cui viene estratto, e sappiamo che i modi alternativi di produzione sono ancora in fase sperimentale”.
Dietro a José si estende la salina, dove i turisti passeggiano tra i cartelli giganti contro il litio che le comunità indigene hanno piantato. “Il litio oggi porta pane, domani porta fame”, dice uno di loro.
Reportage pubblicato su L’Espresso il 28 dicembre 2024.