Il movimento in Messico che chiede giustizia per la violenza di Stato
Un’autostrada che taglia in due un bosco di pini. Una manifestazione che da Cuernavaca si dirige a Città del Messico: 80 chilometri in salita, camminando sull’asfalto sotto un sole intermittente con la speranza di essere ricevuti nella capitale dal presidente Andrés Manuel López Obrador. Era il gennaio del 2020 e il Movimento per la pace con giustizia e dignità (Mpjd) riuniva nuovamente migliaia di vittime della militarizzazione che il governo messicano ha portato avanti dal 2006 con la scusa di combattere la criminalità organizzata, e che ha causato
più di 90mila desaparecidos, 340mila sfollati e ha portato a una media di 10 femminicidi al giorno.
Quella mobilitazione è stata una tappa fondamentale verso la celebrazione, avvenuta il primo agosto 2021, di una consultazione popolare in cui si chiedeva alla popolazione messicana se fosse d’accordo con la possibilità di intraprendere un processo per fare luce sulle violazioni dei diritti umani avvenute nel passato. Molti dimostranti scesi in strada nel gennaio 2020 avevano già manifestato nove anni prima, quando le carovane del Mpjd viaggiarono per tutto il Messico e negli Stati Uniti per chiedere la fine di quella che il governo aveva battezzato come “guerra al narcotraffico”.
Per la prima volta, le vittime della militarizzazione si incontravano e condividevano esperienze, parlavano pubblicamente del loro dolore e si organizzavano per chiedere verità e giustizia. “Non ho partecipato alle manifestazioni del 2011, ma questa volta ho deciso di venire e chiedere giustizia per tutte quelle persone che, come me, hanno perso un figlio. È la cosa peggiore che può succedere nella vita”, aveva dichiarato Magdalena
Puente González, una manifestante che avevamo incontrato nel gennaio dello scorso anno mentre la manifestazione partiva da Cuernavaca. Si era incamminata con i suoi sandali lungo l’autostrada che porta a Città del Messico, dietro uno striscione che diceva “verità, giustizia, pace”.
López Obrador aveva deciso di non ricevere i dimostranti arrivati nella capitale, il 26 gennaio 2020. Appena eletto, nel 2018, aveva promesso di accogliere la proposta del Mpjd e altre organizzazioni sociali sulla possibilità di creare in Messico dei meccanismi di giustizia transizionale, che sono strumenti giuridici straordinari volti ad affiancare la giustizia ordinaria quando questa riceve un numero così grande di denunce di violazioni dei diritti umani da non essere in grado di processarle.
L’obiettivo della giustizia transizionale è accompagnare un Paese che è appena uscito da un conflitto o da una dittatura verso la riconciliazione della sua società fornendo verità, giustizia, riparazioni e garanzie di non ripetizione alle vittime della violenza. Si considerano meccanismi di giustizia transizionale, ad esempio, le commissioni della verità o i tribunali speciali che giudicano i crimini di guerra, come quello che è stato creato
in seguito al genocidio in Ruanda o alla guerra nella ex Yugoslavia.
“Non si può parlare di pace e riconciliazione senza fare luce su quanto successo nel passato”, afferma
Jacobo Dayán, ricercatore dell’Università iberoamericana ed esperto in giustizia transizionale. “La logica del governo è invece cercare la risoluzione di alcuni casi emblematici e mediatici, come Ayotzinapa, ma non sta affrontando, come aveva promesso, il problema delle violazioni dei diritti umani in modo sistemico. López Obrador l’ha ripetuto più volte: non vuole giudicare i crimini del passato ma perdonarli”.
“Sono d’accordo con il punto finale”, ha affermato il presidente progressista, rievocando il nome di una “legge d’impunità” argentina che prevedeva il congelamento dei processi riguardanti le sparizioni forzate avvenute durante la dittatura militare. Malgrado sia a favore di dimenticare il passato, durante la sua campagna elettorale López Obrador aveva promesso una consultazione popolare per permettere alla popolazione di
decidere se fosse o meno d’accordo sulla possibilità di processare gli ex presidenti per i loro crimini.
Le violazioni dei diritti umani -che durante il governo di López Obrador sono continuate, come sono continuate la militarizzazione e l’impunità- furono allora presentate come un problema superato. La consultazione del primo agosto è stata la prima nella storia del Messico. I suoi promotori -un gruppo di cittadini vicini al presidente- hanno affermato anche di voler convocare un “capitolo Messico” del Tribunale permanente dei popoli, un tribunale popolare e di coscienza fondato a Bologna nel 1979. In realtà era già stato aperto, tra il 2011 e il 2014, raccogliendo migliaia di testimonianze di persone sopravvissute al conflitto messicano.
La domanda della consultazione del primo agosto non si riferiva esplicitamente alla possibilità di processare gli ex presidenti, ma è stata così generica da lasciare spazio a varie interpretazioni, la più comune è che si riferisse alla possibilità di creare una commissione della verità o altri meccanismi di giustizia transizionale. “Non ho partecipato alla consultazione perché secondo me bisognerebbe piuttosto irrobustire la giustizia ordinaria, visto che in Messico esiste un grande problema di impunità”, afferma Jorge Verástegui González, familiare di due persone scomparse, e ricorda che, nel 92% dei casi, a seguito di un delitto non vengono neanche aperte le
indagini. “E poi non credo che la giustizia transizionale funzionerebbe in Messico; anche se venissero creati dei buoni meccanismi giuridici, sono sicuro che non ci sarebbe la volontà politica per farli funzionare”.
Molti pensano che la consultazione sia stata superflua, visto che la procura è tenuta a investigare i crimini e le violazioni dei diritti umani. “Questo è vero, ma la Suprema corte di giustizia ha riconosciuto che non esistono canali istituzionali che possono dare risposta a una quantità così grande di richieste di verità e giustizia. Per questo si apre, con la consultazione, la possibilità di stabilire dei meccanismi straordinari di giustizia”, afferma
Daniela Malpica dell’organizzazione Justicia Transicional MX.
Solo il 7% dell’elettorato ha partecipato alla consultazione e il 98% ha votato “Sì”. Per alcuni è stato un fallimento e uno spreco di soldi pubblici, altri considerano che sette milioni di persone che chiedono di fornire verità e giustizia alle vittime sono comunque tante, e che il governo dovrebbe prestare loro ascolto. “Inizia una nuova tappa contro l’impunità in cui le vittime saranno poste al centro”, ha affermato Mario Delgado, presidente
di Morena (partito al governo, ndr) e ha promesso non solo di creare una commissione della verità e un tribunale del popolo, ma anche una commissione contro l’impunità dei crimini economici del neoliberismo.
“Non credo che l’esecutivo manterrà la sua promessa, se avesse voluto creare una commissione della verità l’avrebbe già fatto. Tra l’altro l’implementazione di meccanismi di giustizia transizionale è stata una delle sue promesse durante la campagna elettorale”, sostiene Daniela Malpica.
Inaspettatamente, la consultazione popolare è stata appoggiata dall’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln), che questo autunno si trova in Europa, con una delegazione di più di 160 persone, per conoscere movimenti sociali e lotte di tutto il continente. “Bisogna partecipare alla consultazione, non
guardando quelli che stanno in alto ma volgendo lo sguardo alle vittime. Vi invitiamo a organizzarvi
perché, forse senza saperlo, potreste essere le future vittime”, ha scritto il subcomandante Moisés in un comunicato.
L’Ezln è andato oltre la convocazione alle urne e ha organizzato assemblee in 756 villaggi indigeni, in cui si è dibattuto di crimini di Stato e impunità, e si è votato a favore di fornire verità e giustizia alle vittime della violenza. Gli indigeni zapatisti sono andati al di là della giornata elettorale e hanno fatto propria la consultazione, che hanno convertito in una piattaforma a favore di una campagna nazionale per la verità e la giustizia, che prenderà forma nei prossimi mesi e a cui si sono unite già varie organizzazioni messicane.
Artículo pubblicato dal mensile Altreconomia nell’ottobre 2021