Skip to content

Insegnanti contro la riforma: in Messico si uccide sempre

José Luis ha il viso di Che Guevara appeso al collo e tatuato sul braccio. Insegna in una scuola elementare dello stato meridionale del Chiapas e fa parte della Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación (CNTE), l’ala più combattiva di un sindacato di insegnanti. “Manifesteremo fino a quando il governo non abrogherà la riforma che apre le porte alla privatizzazione dell’educazione”, afferma José Luis, mentre riposa all’ombra del casello autostradale che unisce le città di Tuxtla Gutiérrez e San Cristóbal de Las Casas.

Lo sta occupando con altri 8mila insegnanti della CNTE per bloccare il transito dei veicoli, una delle forme di protesta più comuni in Messico. Poco prima, circa 2mila poliziotti federali in assetto antisommossa avevano fatto muro per impedire l’azione, mentre a pochi metri era schierata la CNTE, con caschi, scudi e maschere antigas.

Il sole ribolliva l’asfalto e la tensione inspessiva l’afa. Era difficile non pensare a quanto successo pochi giorni prima a Nochixtlán, nello Stato di Oaxaca, quando durante un’azione simile della CNTE la polizia ha sparato sulla folla e ucciso 12 persone. Tra loro uno studente del seminario di diciannove anni, che era accorso per soccorrere i feriti.

Lo sciopero degli insegnanti è iniziato il 15 maggio in varie regioni del Messico. “Il governo dice che darà tablets ai bambini, ma dove io insegno non c’è neanche l’energia elettrica. E poi, se i bambini arrivano a scuola senza avere fatto colazione, come si pensa possano pagare un libro di testo?”, chiede un maestro di una zona chiamata Altos de Chiapas, dove l’88% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Dopo una decina di giorni dall’inizio delle manifestazioni, a Tuxtla Gutiérrez la polizia ha caricato con violenza gli insegnanti, ottenendo la reazione contraria a quella sperata: migliaia di cittadini che videro le cariche dalle loro finestre sono scesi in piazza con la CNTE.

“Credo che il modo di evitare un altro massacro travestito da difesa dell’ordine pubblico sia scendere in strada a manifestare. La solidarietà che la gente sta dimostrando agli insegnanti si deve anche a uno sfinimento generale, causato dalla crisi economica e sociale”, afferma in intervista Julieta Albores Gonzaléz, architetta e scultrice chiapaneca.

Molte persone hanno iniziato a portare viveri nell’accampamento che gli insegnanti hanno costruito nel centro della città con pali, tendoni e materassi, dove hanno stabilito turni per cucinare, pulire e dormire, e da cui ogni giorno organizzano attività di protesta.

Dopo più di un mese di manifestazioni e notti passate sotto i tendoni, la mobilitazione in Messico continua a crescere, e si è espansa verso le regioni più conservatrici del nord. Uno sciopero degli insegnanti che sta assumendo le caratteristiche di un’insurrezione popolare, a cui si sono uniti dipendenti della sanità pubblica, universitari, alcuni settori della Chiesa e cittadini in generale.

Lo Stato in cui le proteste sono più forti è Oaxaca. Da settimane le strade sono bloccate dalla CNTE e in molte regioni si fa fatica a trovare benzina e cibo. La polizia sgombera gli insegnanti, che in poco tempo reinstallano i bloqueos. E il saldo degli scontri non conta solo i 12 morti di Nochixtlán; a Juchitán, un giornalista è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco a bruciapelo. Si registrano feriti, desaparecidos e detenuti, tra cui due leaders della CNTE.

La notte dell’11 giugno, la capitale dello Stato di Oaxaca ha visto un fantasma del suo passato. La polizia ha caricato una protesta della CNTE che, con l’aiuto della popolazione, ha costruito barricate e iniziato una battaglia con la polizia. Erano passati esattamente dieci anni dallo sgombero dell’accampamento dei professori del giugno 2006, quando le cariche furono così violente che i cittadini si unirono alle proteste, bloccarono l’accesso alla città, cacciarono i partiti politici e per mesi promossero un’esperienza di autogoverno nota come Comuna di Oaxaca.

Articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 26.06.2016.

Torna su