Studenti desaparecidos in Messico, inchiesta internazionale: “Ricostruzione dei pm è falsa, servizi e polizia sapevano”
All’una e un quarto della notte del 26 settembre 2014 Carmen Mendoza ricevette un messaggio di testo del figlio adolescente. “Mamma, mi puoi fare una ricarica? È urgente”, scriveva Jorge Aníbal, studente della scuola normale di Ayotzinapa. Dopo quella notte Carmen non lo ha più visto, ma per quasi un mese il cellulare continuava a squillare ogni volta che la donna provava a chiamarlo. Di conseguenza quando, nel gennaio scorso, il procuratore generale Jesús Murillo Karam annunciò quella che definì la “verità storica” sul caso Ayotzinapa, Carmen Mendoza non gli credette. Secondo il magistrato, Jorge Aníbalsarebbe già stato morto all’ora in cui alla donna arrivò il suo messaggio.
La ricostruzione ufficiale dell’attacco avvenuto nella città di Iguala il 26 settembre 2014 – in cui 6 persone vennero uccise, più di 40 ferite e 43 fatte sparire – sostiene che la Polizia Municipale avrebbe sequestrato gli studenti di Ayotzinapa per consegnarli a uomini del cartello criminale Guerreros Unidos. Questi si sarebbero incaricati di ucciderli nella discarica del paese di Cocula, bruciarli fino a cremare i loro corpi e gettare poi i resti in una borsa che è stata trovata nel vicino fiume San Juan.
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Un gruppo di esperti indipendenti nominato dalla Commissione Interamericana di Diritti Umani (CIDH) ha presentato i risultati di un’indagine di sei mesi che dimostra, prove scientifiche alla mano, come la ricostruzione fatta dalla Procura Generale della Repubblica faccia acqua da tutte le parti.
“I ragazzi non sono stati cremati nella discarica di Cocula”, ha affermato Francisco Cox Vial, avvocato cileno che fa parte del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI) della CIDH. Secondo il nuovo rapporto, è scientificamente impossibile che nella discarica sia stato appiccato un rogo di quelle dimensioni. Non c’è nessuna prova, quindi, che i 43 ragazzi desaparecidos di Ayotzinapa siano morti.
Di uno dei ragazzi sequestrati quella notte ad Iguala, Alexander Mora Venancio, sono già state presentate le prove della morte. Un gruppo di periti dell’Università di Innsbruckavrebbe stabilito la sua identità a partire dai resti contenuti in una borsa che, secondo il governo, sarebbe stata trovata nel fiume San Juan, vicino alla discarica. Ma se, come affermano gli esperti indipendenti, a Cocula non è stato cremato neanche un corpo, dove sono stati rinvenuti i resti di Alexander?
Il rapporto della CIDH ha portato a galla altre incongruenze presenti nella ricostruzione ufficiale, che hanno tutto l’aspetto di un’operazione finalizzata a coprire responsabilità ed ingannare l’opinione pubblica. Governo e procura hanno sempre negato il coinvolgimento dell’esercito e della Polizia Federale nei fatti di Iguala, ma gli esperti indipendenti affermano che la procura possedeva dichiarazioni di agenti dell’intelligence militare che riconoscono di essere stati presenti nel momento dell’attacco, e di non essere intervenuti. E anche la Polizia Federale era a conoscenza di quello che stava succedendo.
E spunta un quinto autobus, assente dalla versione della procura malgrado gli studenti ne avessero dichiarato l’esistenza. Si tratta di uno dei mezzi che i ragazzi avevano occupato per lasciare la città di Iguala; gli esperti avvertono che probabilmente, all’insaputa dei giovani, era utilizzato per trasportare droga.
La CIDH raccomanda quindi al governo di aprire una nuova indagine, che prenda in considerazione la possibile presenza della droga come movente dell’attacco. L’esecutivo ha promesso di “prendere in considerazione i suggerimenti” degli esperti, ma continua a sostenere che nella discarica sono stati cremati un “numero considerevole” di studenti.
“Avevamo ragione, abbiamo sempre avuto ragione, i nostri figli non sono stati bruciati. Quella che il governo chiama “verità storica” è una bugia storica”, ha affermato Felipe de la Cruz Sandoval, portavoce dei genitori dei ragazzi scomparsi. Le famiglie dei desaparecidos chiedono di incontrare il presidente Enrique Peña Nieto, e che vengano indagate le relazioni tra il governo e il crimine organizzato che il rapporto mette in luce.
“La domanda ora è: dove sono i nostri figli? Dove li hanno portati?”, ha dichiarato Mario César González, genitore di uno dei ragazzi scomparsi.