Presunzione di colpevolezza
”Se leggete uno di questi studi che fanno i governi,
vedrete che le uniche comunità indigene che migliorano le loro condizioni di vita,
cioè quella abitativa, di salute, educazione e alimentazione,
si trovano in territorio zapatista”.
Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona (1)
Quando era piccolo, negli anni ’80, Xuno voleva scappare di casa con un amico per andare a lavorare in una fattoria di caffè, come suo papà e suo nonno (2). Il padre venne a conoscenza del piano e decise di raccontargli cosa aveva voluto dire, per un bambino maya tzeltal come lui, crescere in una fattoria del Soconusco, una zona di produzione di caffè nel sud del Chiapas.
La sveglia alle 3 del mattino, le giornate intere passate nei campi sotto il sole, le percosse. Non c’erano scuole né dottori a disposizione dei braccianti. Il caporale non segnava tutte le ore che il bambino faceva e il padrone spesso non lo pagava, dicendo che doveva saldare dei debiti che la sua famiglia aveva accumulato con lui.
Avevano volti bianchi i padroni di quelle fattorie dai nomi tedeschi – Prussia, Nueva Alemania -, figli dei migranti arrivati dalla Germania a partire dalla metà dell’800. Il padrone rappresentava l’unica autorità della zona e agiva impunemente. Poteva picchiare e umiliare i braccianti, impedire loro di uscire dalla fattoria, portare via le ragazze per violentarle. Fino a pochi decenni fa, nelle campagne del Chiapas vigevano leggi che ricordano l’epoca feudale.
Don Valentín, un anziano indigeno tzeltal che lavorava nella fattoria El Rosario, nei pressi della città di Ocosingo, racconta di quando si trovava sotto il padrone José Solórzano:
“Prima del ’94 (3)? La giustizia la faceva lui, lui era il padrone e lui ci governava, e non c’era chi si occupava di altre cose, lui era il padrone e si occupava di tutto. E non c’era scuola, non c’era nulla” (4).
Oggi Don Valentín è una base d’appoggio dell’EZLN. Non lavora più in condizione di semi-schiavitù e sa di potersi rivolgere a un sistema di giustizia autonomo. È stato creato dagli zapatisti per gli zapatisti, ma spesso anche per persone che non fanno parte dell’organizzazione lo preferiscono a quello ufficiale.
Giustizia messicana
Il Messico è un paese in cui la giustizia si paga, e chi non ha soldi non ne beneficia. Le carceri sono piene di innocenti che non si possono permettere un buon avvocato, persone umili che vengono utilizzate come capri espiatori. Se avviene un delitto bisogna mettere in carcere qualcuno, non importa se è il colpevole.
Il diritto italiano si basa sulla presunzione di innocenza, l’imputato è considerato innocente a meno che non si dimostri il contrario. In Messico, invece, chi viene arrestato è un presunto colpevole (5). Come José Antonio Zuñiga, arrestato il 14 dicembre 2005 per omicidio e condannato a 20 anni di carcere senza che esistessero prove contro di lui, e malgrado numerosi testimoni affermassero che quel giorno si trovava al lavoro. José Antonio riuscì a far riaprire il suo caso, ma quando dimostrò la sua innocenza si era già fatto due anni in cella (6).
O il caso di Rosa López Díaz, un’indigena maya tzotzil arrestata il 10 maggio 2007 nel centro di San Cristóbal de Las Casas, condannata a 27 anni e 6 mesi di reclusione per un delitto che non aveva commesso (7). Con percosse e torture, Rosa venne costretta a firmare una confessione in bianco. Allora era incinta e il suo bambino nacque in carcere con danni cerebrali, il volto deforme e paralizzato, e a quattro anni morì. Rosa venne liberata il 5 luglio 2013 con altre 8 persone, tutte integranti del collettivo Solidarios de la Voz del Amate, un gruppo di persone che dal penitenziario lottano in difesa dei diritti della popolazione carceraria.
In Messico ci sono migliaia di casi simili a quelli di José Antonio e Rosa. Per questo spesso si rivolgono al sistema di giustizia zapatista anche persone che non appartengono all’organizzazione.
Il castigo dei polleros
Un fiume attraversa il municipio autonomo zapatista Libertad de los Pueblos Mayas, nei pressi del Caracol della Realidad, a pochi chilometri dal confine con il Guatemala. Sulle sue acque scorrono barche piene di merci ed esseri umani, sulle sue coste si consuma la tratta delle bianche.
Ogni anno migliaia di centroamericani attraversano la frontiera meridionale del Messico. Lasciano la violenza e la povertà di paesi come Guatemala, El Salvador, Honduras e Nicaragua, sognano di attraversare il Messico per arrivare negli Stati Uniti. Ma non hanno un visto né un permesso di soggiorno e sono costretti a raggiungere il sogno americano occultandosi tra i monti e il deserto, o percorrendo fiumi nascosti nella Selva Lacandona. Come quello che scorre nel municipio Libertad de los Pueblos Mayas, che insieme ai migranti vede transitare i polleros, persone che ricevono un compenso per accompagnare i centroamericani al di là della frontiera, individui spesso privi di scrupoli che collaborano con il crimine organizzato.
Nel municipio zapatista la presenza dei polleros aveva causato non pochi problemi, e la Giunta di Buon Governo de La Realidad stabilì dei turni di guardia per arrestarli. Doroteo, che in quel tempo faceva parte dell’organo di governo zapatista, ricorda di un pollero guatemalteco che per nove mesi aveva dovuto scontare la sua pena secondo le leggi zapatiste:
“Ha lavorato nella costruzione del ponte dell’ospedale di San José del Río. I polleros che arrestavamo erano costretti a lavorare durante sei mesi, per noi questa è la pena, un castigo perché si correggano, si mettano a lavorare. La cosa più divertente per noi è stata che un giorno uno di questi caproni ci ha ringraziato per averlo castigato. “È come se mi aveste messo in una scuola” – ci ha detto, perché ora è muratore e non avrebbe mai pensato di diventarlo- “e ora posso costruire case e posso costruire quello che voglio”. Questo è il castigo che applichiamo, invece di rinchiuderli nel carcere li portiamo fuori a lavorare. Lascerà i suoi beni nel paese, però si porta via qualcosa di buono. Questo è quello che pensiamo, non so se sia bene o male, però la cosa è così. Così è successo con tutti, sempre portano con sé qualcosa (8)”.
Giustizia zapatista
Il diritto dei popoli indigeni ad amministrare la giustizia in modo autonomo e secondo i propri usi e costumi è riconosciuto dalla legislazione messicana e internazionale (9). Gli zapatisti – come altri popoli indigeni americani – hanno saputo costruire un sistema di giustizia efficace, non lasciando spazio agli episodi di spontaneità che a volte si verificano in Chiapas. Ad esempio nel febbraio 2014, nei pressi del paese di San Juan Cancuc, due uomini che investirono e ferirono un bambino vennero linciati e bruciati vivi dalla popolazione maya tzeltal. Nei sei mesi precedenti si erano verificati nove casi simili nella regione (10).
Nel sistema di giustizia zapatista non esistono giudici professionisti ma si basa sull’idea che qualsiasi persona, con il regolamento comunitario alla mano e facendo uso del buon senso, possa risolvere una controversia.
Il denunciante si rivolge al livello più basso di governo, l’Agente comunitario, che si interesserà al caso a titolo gratuito e cercando un accordo che possa riconciliare le parti. Se si tratta di un problema poco grave, ad esempio di convivenza tra vicini, medierà affinché si perdonino, ma in certi casi dovrà intervenire la riparazione del danno. Se poi una persona reitera una condotta sanzionata, verrà costretta a lavorare a beneficio della collettività.
Le regole e sanzioni cambiano da comunità a comunità. Ad esempio in Nuevo Poblado Montearriba, nella zona de La Garrucha, il consumo di alcool proibito dalla Legge Rivoluzionaria delle Donne viene sanzionato con due giorni di lavoro e 24 ore di carcere, che si considerano necessarie affinché al “condannato” passi l’ubriachezza.
In caso di delitti gravi come omicidio, traffico di legna, violenza sessuale e semina di marihuana, l’Agente dovrà convocare l’assemblea della comunità che, se non è in grado di trovare una soluzione, passerà il caso alle autorità del livello di governo superiore, che sono il Municipio autonomo e la Giunta di Buon Governo. Eventualmente verrà convocata una riunione straordinaria dell’Assemblea Massima, che riunisce tutte le autorità della zona (11).
Quando negli anni ’80 arrivò in Chiapas, il subcomandante Marcos rimase profondamente colpito dal sistema di giustizia indigeno: “La comunità ti dice: ‘Ah, tu hai distrutto la casa del tuo vicino? E allora la ripari e lavorerai per ripagare i danni fatti. Rimani in libertà fisica ma condannato moralmente, dovrai ripagare il vicino per il danno fatto, ma sotto gli occhi di tutti’. Tutti ti giudicano, ti tengono d’occhio, che è la cosa che più brucia (12)”.
L’episodio forse più utile per capire il modo di intendere la giustizia delle basi d’appoggio zapatiste fu il processo al generale Absalón Castellanos, militare responsabile di numerose violazioni di diritti umani a danno della popolazione indigena. Il generale fu sequestrato dall’EZLN nella sua tenuta nel 1994 durante l’insurrezione, e a seguito di un processo popolare venne rilasciato dai ribelli e condannato “a vivere fino all’ultimo dei suoi giorni con la pena e la vergogna di avere ricevuto il perdono e la bontà di coloro che, a lungo, ha umiliato, sequestrato, depredato e assassinato”.
Note
- Il testo in italiano: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/sdsl-it/.
- Xuno López, intervento durante la presentazione del libro Justicia Autónoma Zapatista, zona selva tzeltal, nel CIDECI San Cristóbal de Las Casas, 11 dicembre 2014. Video in: http://komanilel.org/2014/12/08/invitacion-presentacion-del-libro-justicia-autonoma-zapatista-zona-selva-tzeltal/.
- Anno dell’insurrezione zapatista.
- Paulina Fernández Christlieb, Justicia Autónoma Zapatista. Zona Selva Tzeltal, Ediciones Autónomxs, México, agosto 2014, pag. 51.
- La reforma costituzionale del 2008 impone che entro il 2016 il sistema giudiziario messicano applichi la presunzione di innocenza. La stessa riforma autorizza la detenzione fino a 80 giorni senza che esista un’accusa formale.
- La storia di José Antonio Zuñiga è raccontata nel documentario Presunto Culpable, di Roberto Hernández e Layda Negrete.
- Sul caso di Rosa López Díaz si può leggere Luisa Betti, Rosa e le altre, quotidiano Il Manifesto, 15 gennaio 2012.
- Quaderni di testo della prima Escuelita Zapatista, Gobierno autónomo II, pag. 6. I quaderni si possono scaricare all’indirizzo http://anarquiacoronada.blogspot.it/2013/09/primera-escuela-zapatista-descarga-sus.html.
- Jaime Quintana Guerrero, Ancestral o innovadora, la justicia indígena hunde sus raíces en las comunidades, rivista elettronica Desinformémonos, 4 agosto 2014. In http://desinformemonos.org/2014/02/ancestral-o-innovadora-la-justicia-indigena-hunde-sus-raices-en-las-comunidades/.
- Fredy Martin Pérez, Linchan a dos personas en San Juan Cancuc. Suman 9, 7 febbraio 2014, rivista elettronica Chiapas Paralelo. In: http://www.chiapasparalelo.com/noticias/chiapas/2014/02/linchan-a-dos-personas-en-san-juan-cancuc-suman-9/.
- Paulina Fernández Christlieb, Justicia Autónoma Zapatista. Zona Selva Tzeltal, Ediciones Autónomxs, México, agosto 2014.
- l Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano, 1998, pag. 53.
Articolo pubblicato da Arivista nel marzo 2015.