La foglia di coca non è cocaina. Intervista al profesor Jorge Ronderos
L’11 gennaio 2013, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha depenalizzato la masticazione della foglia di coca in territorio boliviano e permesso allo stato sudamericano di coltivare la pianta di coca “nell’estensione necessaria” per il suo uso tradizionale.
“È una vittoria dei popoli indigeni e dei movimenti sociali. È stato corretto un errore storico dopo quasi cinquant’anni, riconoscendo che la foglia di coca non è una droga ”, ha dichiarato Dionisio Núñez, viceministro della Coca e Sviluppo Integrale della Bolivia. Infatti, per i popoli indigeni dei paesi andini masticare coca – prodotto che, nel suo stato naturale, si differenzia enormemente dalla cocaina, che è un suo alcaloide – ha da sempre un significato culturale e rituale molto importante.
Il presidente boliviano socialista Evo Morales, indigeno del popolo aymara che ha un passato da leader sindacalista dei cocaleros (contadini produttori di coca), ha sottolineato che i risultati nella lotta contro il narcotraffico dello Stato boliviano sono internazionalmente riconosciuti, e che i contadini controllano il limite della coltivazione della foglia di coca per evitare che venga utilizzata per la produzione di cocaina. È inoltre importante osservare che la decisione dell’ONU si applica solo in territorio boliviano, e continua a proibire internazionalmente l’esportazione della foglia di coca.
La Costituzione boliviana del 2009 obbliga a difendere la foglia di coca come parte del patrimonio culturale del paese e in altri stati andini come Colombia, Perù ed Argentina è permesso il consumo tradizionale della pianta di coca. Di conseguenza, la recente vittoria boliviana segna il cammino per questi paesi, le cui leggi entrano in tensione con le Convenzioni internazionali.
Infatti, l’articolo 49 della Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti, approvata nel 1961 a New York da 184 paesi, vetava la masticazione della foglia di coca (pratica chiamata “pijcheo” in Bolivia, “chajcheo” in Perú, “mambeo” in Colombia e “coqueo” nel nord dell’Argentina), prendendo a pretesto il fatto che la pianta di coca contiene gli alcaloidi con cui viene prodotta la cocaina. Nel 1971, l’accordo venne rafforzato con la firma della Convenzione di Vienna sulle Sostanze Psicotropiche, che include la foglia di coca nella lista 1 degli stupefacenti, di cui fanno parte sostanze considerate “droghe pesanti”, come la cocaina e l’eroina.
Nel giugno 2011, la Bolivia si è ritirata dalla Convenzione a causa del rifiuto, da parte delle Nazioni Unite, di togliere la proibizione di masticare la foglia di coca e, sei mesi dopo, il governo boliviano ha chiesto la reincorporazione del paese alla Convenzione di Vienna, a condizione che la masticazione della coca venisse accettata dai paesi firmatari. Il 10 gennaio del 2012 iniziò il periodo di dodici mesi in cui i paesi membri hanno diritto ad esprimere le loro obiezioni e, il 10 gennaio scorso, non sono stati raggiunti i voti necessari a vetare la richiesta del governo boliviano. Di fatto, solo quindici paesi hanno manifestato la loro obiezione, e tra questi l’unico latinoamericano è stato il Messico.
Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha quindi accettato il ritorno della Bolivia alla Convenzione di Vienna, annullando la proibizione della masticazione della coca, disposizione effettiva a partire del 10 febbraio 2013.
Orsetta Bellani, collaboratrice di Narcomafie, ha parlato della depenalizzazione della foglia di coca, di cocaina ed altre droghe con il sociologo colombiano Jorge Ronderos Valderrama, professore titolare dell’Università di Caldas, che dirige il gruppo di ricerca e la rivista “Cultura y Droga”.
Professor Ronderos Valderrama, cosa ne pensa della recente decisione dell’Onu di depenalizzare la masticazione della foglia di coca?
Accolgo la decisione con molto favore, la Convenzione di Vienna è datata, è stata inefficiente ed ha creato una grande corruzione.
A lungo il presidente boliviano Evo Morales ha lottato perché venisse cambiata, si tratta di una giusta rivendicazione per il riconoscimento dell’identità del suo popolo, che considera la coca come una pianta sacra.
Mi può parlare del processo di trasformazione della foglia di coca in cocaina?
La cocaina è un alcaloide della pianta di coca, che ne ha altri come la nicotina e la caffeina. Macerando la foglia di coca e utilizzando sostanze come cloridrato, solfato e in alcuni casi anche benzina, si estrae il “cristallo” della cocaina, che è una polvere bianca. Gli alcaloidi sono il risultato del processo naturale di metabolizzazione di una pianta, ma possono anche essere prodotti sinteticamente in laboratorio. Spesso l’alcaloide, la cocaina, viene erroneamente chiamata coca. “Coca” è la pianta, che è una cosa molto differente.
In che modo la pianta di coca viene utilizzata dai popoli indigeni delle Ande?
Nelle culture andine la pianta di coca viene utilizzata con fini sciamanici e curativi, ad esempio per alcune infezioni come l’ascesso. L’uso tradizionale è il mambeo, che consiste nel masticarla mischiandola con la saliva, e viene fatto normalmente con una finalità e in un determinato contesto rituale. Ad esempio gli indigeni della Sierra Nevada di Santa Marta, in Colombia, dicono di masticare la coca per “tessere pensieri”. Altri la masticano prima di un’attività faticosa, come intraprendere un viaggio, perché dà energia. La coca viene utilizzata anche come alimento, essendo molto ricca di calcio.
Quali sono i maggiori produttori di coca? E quali paesi sono i maggiori consumatori di cocaina?
I paesi che producono la pianta di coca sono Colombia, Perù, Bolivia, Ecuador e anche Venezuela, in una parte della zona andina. È una pianta che può crescere dai 200 fino ai 1500 metri sul livello del mare, dando specie differenti. Spesso la cocaina viene prodotta illegalmente in questi stessi paesi e la maggior parte viene inviata negli Stati Uniti, che sono i maggiori consumatori di cocaina, coprendo il 70% del consumo mondiale. Una volta negli Stati Uniti, la cocaina viene tagliata con altre sostanze, aumentando il rischio che crei problemi nel soggetto che la consuma.
Un altro elemento che vale la pena rilevare è che inizialmente per produrre la Coca Cola si utilizzava la coca, da cui viene il nome della bibita. A partire dalla proibizione della pianta, l’impresa dice di aver sostituito la coca con la caffeina.
Quale definizione di droga è stata adottata dal suo gruppo di ricerca?
Normalmente con il termine “droga” ci si riferisce ad alcune sostanze psicoattive proibite, che nel linguaggio delle convenzioni internazionali viene chiamato “stupefacente”. Il mio gruppo di ricerca considera invece il concetto di droga da un punto di vista più amplio, ossia come qualsiasi sostanza biologicamente attiva che nel momento in cui viene incorporata in un organismo produce un cambio e, nel caso specifico dell’essere umano, una mutazione di stato d’animo.
Gli esseri umani non sono gli unici consumatori di droghe: sono state documentate più di trecento specie animali che le consumano, non in modo casuale o accidentale, ma in certi momenti della loro esistenza e durante determinati processi. Mi riferisco ad esempio a elefanti, capre, scimmie, uccelli e anche pesci, che attraverso il consumo delle droghe modificano il loro modo di percepire, comportarsi e agire in un determinato contesto.
Secondo questa definizione, quali sostanze possono essere considerate come droghe?
Consideriamo droghe sostanze come lo zucchero, il cioccolato, le sigarette, il peperoncino, l’eroina, la marijuana, la cocaina, la caffeina, i farmaci, le bibite, l’alcool e i profumi. Esistono persone dipendenti da questa sostanza, che sentono di perdere la propria identità se non portano il profumo della tal marca.
Da quale punto di vista il suo gruppo di ricerca studia le droghe?
Studiamo le droghe nel modo in cui emergono in ogni cultura, perché e come si utilizzano, in che dosi possono produrre problemi per la salute. Ad esempio l’alcool, una droga che nella nostra cultura occidentale si consuma da millenni, se si usa adeguatamente non è negativo: in certe situazioni una determinata dose di alcool può essere un rimedio, ma usato in modo inadeguato è un veleno. Un altro esempio che possiamo fare è quello dello zucchero. Sono state identificate circa cento malattie associate al suo consumo, o meglio al suo abuso, e conosciamo il caso di una comunità peruviana nella Foresta Amazzonica dove la popolazione ne è dipendente: lo consumano in modo compulsivo e hanno gravi problemi di salute.
In generale, il fatto che una droga sia benefica o malefica dipende dall’organismo: ognuno ha affinità positive o negative con ciascuna sostanza. Su alcune persone fumare sigarette non produce gravi danni, per altre può essere letale in breve tempo.
Con quale funzione sono nate le droghe?
Molte droghe nascono come rimedio per curare una malattia o, più in generale, hanno avuto applicazione medica. Ad esempio, nel XVI secolo lo zucchero non si consumava massivamente come si fa oggi, ma veniva usato dai medici nelle corti europee per curare la melanconia. Abbiamo già detto come, se utilizzato in dosi eccessive per un determinato organismo, lo zucchero si possa convertire in una sostanza dannosa per la salute.
Un altro esempio è quello dell’oppio, che nel secolo XIX in Europa veniva utilizzato per curare vari tipi di malattie, incluso per calmare il pianto dei bambini. Poi c’è la cocaina, creata in Europa intorno al 1880, che fu il primo anestetico utilizzato in medicina, in particolare in otorinolaringoiatria. Evidentemente è una sostanza che se utilizzata in modo incorretto produce effetti molto negativi.
Un altro esempio di anestetico che si usa in campo veterinario, oltre che sui bambini, è la chetamina: è un farmaco a tutt’oggi legale che viene utilizzato anche con fini ricreativi. Anche l’estasy in Spagna è stato usato in procedimenti terapeutici, in particolare su donne vittime di violenza sessuale.
La marijuana per uso terapeutico è legale in molti paesi del mondo e in alcune zone degli Stati Uniti, come lo Stato di Washington, è stato approvato il suo “uso ludico e ricreativo” per gli adulti. La canapa è una pianta che produce una tela molto resistente: i primi blue jeans e le prime banconote di dollari erano fatti di canapa. Ford creò un automobile a canapa e fino agli anni ’50 in Italia si seminava in grandi estensioni di terra per produrre agrocombustibili.
Da cosa dipende quindi la denominazione “droga” o “medicina”?
Dipende del contesto culturale, dove la medicina e la scienza contribuiscono alla formazione di una determinata cultura. Le sostanze spesso sono viste come il male, ma non sono le sostanze ad essere negative in sé o a creare dipendenza. La malattia della dipendenza, che è sintomo di un desiderio non soddisfatto, è causata da caratteristiche proprie dell’individuo all’interno del suo sistema di relazioni, del suo ambiente, della sua storia personale, le persone dipendenti sono soggetti incapaci di trovare senso nella vita. Possiamo prendere il caso dei depressi, soggetti dipendenti dai farmaci antidepressivi che la nostra società considera “drogati buoni”, perché assumono droghe legali.
Perché alcune sostanze nel corso della storia e all’interno della solita cultura sono passate da essere considerate “medicine” ad essere considerate “droghe”?
Ci si è basati su fattori economici e meccanismi di potere, più che su criteri relativi alla dannosità della sostanza. In Russia, durante l’epoca degli zar, era stato proibito il caffè: i consumatori di caffè erano considerati terroristi e venivano perseguiti, incarcerati e gli veniva tagliato un pezzo di orecchio per poterli identificare come nemici del sistema.
Cosa ne pensa della proibizione della produzione, del consumo e della commercializzazione delle droghe come strategia per combattere il narcotraffico?
Per quanto una determinata sostanza si possa proibire, finché ci sarà qualcuno interessato a consumarla, ci sarà qualcuno che la produrrà. Per questo in economia si parla della legge della domanda e dell’offerta, non esiste la legge dell’offerta e della domanda.
È un fatto che il narcotraffico è un prodotto del proibizionismo, che i cartelli criminali perderebbero gran parte dei loro introiti se lo stato legalizzasse e controllasse la produzione e la vendita delle droghe. Durante il Vertice delle Americhe, che si è svolto a Cartagena de Indias (Colombia) nell’aprile 2012, i governi latinoamericani hanno riconosciuto il fallimento di quella che viene chiamata “guerra al narcotraffico”, che genera corruzione e si converte in una guerra contro la popolazione. I paesi latinoamericani hanno iniziato a considerare la possibilità di affrontare il problema in un modo differente, il dibattito è stato avviato ma gli interessi in gioco sono molti, non sarà semplice.
Intervista pubblicata sul numero di febbraio 2013 del mensile Narcomafie.