Colombia, la pace o la coca
Il Catatumbo è un angolo di Colombia confinante con il Venezuela, utilizzato come corridoio dal narcotraffico internazionale. I governi hanno da sempre abbandonato a se stessa la regione, dove la violenza dei paramilitari -un prodotto del conflitto armato che da cinquant’anni li impegna a fianco dell’esercito e contro le guerriglie marxiste- secondo la organizzazione non governativa Action For Peace ha causato la morte di più di 11mila persone tra il 1999 e il 2004.
Il Catatumbo è una regione verde e afosa, impoverita dalla brutalità della guerra e dall’estrazione petrolifera, che non beneficia economicamente i suoi abitanti e inquina la loro terra, ed è qui che nell’estate del 2013 è esplosa la rabbia campesina colombiana, quella che a inizio maggio 2014 ha portato circa 120mila contadini a manifestare in varie zone del Paese.
Dopo due settimane di proteste si è aperto un tavolo negoziale con il governo, sotto pressione a causa della prossimità delle elezioni presidenziali (che si sono tenute il 25 maggio). I manifestanti accusano il presidente Juan Manuel Santos di non aver rispettato gli impegni presi a seguito delle marce contadine dell’agosto 2013, che chiedevano riforme strutturali e aiuti per il settore agricolo colombiano. Nel Catatumbo, i contadini erano scesi in strada per più di 50 giorni, chiedendo il finanziamento di soluzioni alternative alla coltivazione della coca.
Nel Catatumbo, infatti, la terra non garantisce la sovranità alimentare di chi la coltiva, poiché produce quasi esclusivamente palma africana e coca, che è una pianta sacra ai popoli indigeni andini per le sue proprietà medicinali ma, attraverso un processo chimico, può essere trasformata in cocaina. Sono contadini sui generis, così, quelli del Catatumbo: non producono il cibo che consumano e sono specializzati nella semina di monocolture. Fino alla fine degli anni Ottanta, molti di loro coltivavano cacao, patate e yucca, ma poi l’isolamento in cui vivono ha reso impossibile la commercializzazione dei generi alimentari.
A causa del pessimo stato delle strade, trasportare i prodotti fino ai mercati delle città costava di più del guadagno atteso dalla loro vendita. Molti contadini decisero quindi di coltivare coca, i cui compratori -i paramilitari di destra e i guerriglieri marxisti delle FARC-EP (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo) e dell’ELN (Ejército de Liberación Nacional)- arrivano fino alla porta della fattoria.
Dalla metà degli anni Novanta le FARC e, in seguito, l’ELN iniziarono a controllare laboratori per la produzione di pasta di coca e in alcune zone del Paese iniziarono anche a trasformarla in cocaina, che viene poi venduta ai cartelli del narcotraffico per l’esportazione (il 70% negli Stati Uniti d’America). Il coinvolgimento nel narcotraffico dei gruppi paramilitari e delle BaCrim (Bandas Criminales), come sono state denominate le milizie irregolari dopo il tentativo di smantellamento a partire dal 2004, è ancora più stretto, e prevede il trasporto della cocaina all’estero.
La situazione dei contadini catatumbensi è peggiorata con l’entrata in vigore dei trattati di libero commercio con Canada (2011) e Usa (2012). Le sovvenzioni che i Paesi nordamericani offrono ai propri prodotti agricoli permettono la vendita sul mercato colombiano a un prezzo inferiore di quello dei beni locali. La caduta del prezzo degli ortaggi, causata dall’arrivo di quelli canadesi e statunitensi, coincide con l’incremento delle coltivazioni di coca nel Catatumbo. Secondo l’ultimo Censimento annuale delle coltivazioni di coca della UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), fra il 2011 e il 2012 la superficie coltivata a coca nella regione aumentò del 51%. Inoltre, il Catatumbo si è convertito nella regione a più alto rendimento produttivo del Paese.
“Noi cocaleros siamo stigmatizzati, i media ci trattano come narcotrafficanti e collaboratori della guerriglia, ma non abbiamo altre possibilità che coltivare coca -spiega José Efraín M.-. Non mi piace coltivare coca, so che è causa di un problema sociale e ho paura della repressione dell’esercito, ma lo Stato non ci offre nessuna alternativa. Cinque anni fa producevo alimenti, ora con queste strade è impossibile commercializzarli”.
I cocaleros in Colombia possono essere incarcerati a causa di una legge (la numero 30 del 1986) che tipifica come delitto la semina e il finanziamento delle coltivazioni che possono avere un uso illecito, e sono esposti alle conseguenze delle aspersioni aeree con il glifosato Roundup Ultra, un erbicida prodotto da Monsanto utilizzato per distruggere le piante di coca.
Le fumigazioni sono previste dal “Piano per la pace, la prosperità e il rafforzamento dello Stato”, comunemente denominato Plan Colombia, che dal 2000 regola la cooperazione militare fra gli Stati Uniti e il Paese sudamericano nella lotta al narcotraffico. Il piano prevede una strategia quasi unicamente repressiva, e solo il 20% delle sue risorse sono dedicate a politiche finalizzate alla prevenzione e al trattamento dei tossicodipendenti. A partire dal 1994, il Consiglio nazionale degli stupefacenti ha regolamentato il “Programma di sradicamento delle coltivazioni illecite mediante aspersione aerea con glifosato”, che è a carico della Direzione antinarcotici della Polizia nazionale.
La Colombia è l’unico Paese che fumiga le coltivazioni illecite, su una superficie che, annualmente, supera i 100mila ettari. La pratica continua, malgrado una sentenza del Consiglio di Stato colombiano dell’11 dicembre 2013 affermi che le fumigazioni violano il principio di precauzione, vincolante nel Paese latinoamericano, secondo cui si dovrebbero sospendere le attività umane i cui rischi sono dimostrati scientificamente.
“Le fumigazioni sono nocive per la salute, oltre ad essere inefficaci nella riduzione delle coltivazioni di coca -spiega Daniel Mejía Londoño, direttore del Centro de Estudios Sobre Seguridad y Drogas (CESED) della Universidad de los Andes di Bogotá-. Secondo i risultati della nostra ricerca, nelle zone di aspersione ci sono più problemi dermatologici e una più alta percentuale di aborti. Altri studi dimostrano gli effetti negativi delle aspersioni sull’ambiente, e sulla fiducia nelle istituzioni delle persone che vivono nei municipi soggetti a fumigazioni”.
Nel settembre 2013 il governo colombiano ha firmato un accordo con l’Ecuador perché ritirasse la denuncia presentata nel 2008 al Tribunale internazionale dell’Aja, basata su uno studio che dimostrava i problemi che le fumigazioni nel Sud della Colombia causavano oltre confine. Il governo di Juan Manuel Santos ha promesso di versare 15 milioni di dollari a quello ecuadoriano come donazione allo sviluppo della zona frontaliera, senza ammettere che si tratta di un indennizzo per i danni causati dal glifosato.
Un’altra strategia utilizzata dal governo del Paese latinoamericano per mettere fine alle coltivazioni di coca è lo sradicamento manuale delle piante, che nel 2012 ha interessato più di 30mila ettari, e che è messo in atto da civili accompagnati dalla polizia o dall’esercito. Si tratta di una strategia poco efficace, visto che il giorno dopo i coltivatori possono riseminare la coca, creando un circolo vizioso potenzialmente infinito. Inoltre, molti sradicatori sono morti a causa delle mine antiuomo seminate nei campi da guerriglieri e paramilitari.
“Le mie piante sono state sradicate per la prima volta all’inizio del 2010 -racconta Nancy B., cocalera del municipio di Sardinata-. Gli sradicatori venivano ogni tre mesi. Quando se ne andavano seminavo nuovamente la coca, e poi quelli tornavano a sradicare. Sono andata avanti così per tre anni, fino a quando, dopo una grande campagna di sradicamento forzato, abbiamo iniziato a manifestare. Era il giugno 2013”. Le manifestazioni del Catatumbo -secondo la UNODC, il 70% dei cocaleros della regione preferirebbe coltivare altro- chiedevano al governo finanziamenti che favorissero soluzioni alternative alla semina della coca, e un cambiamento nella politica antidroga.
“La nostra mobilitazione del giugno 2013 era stata la risposta ad anni e anni di repressione e abbandono statale. Iniziammo a bloccare le strade perché il governo aveva promosso una campagna di sradicamento forzata delle piante di coca che aveva lasciato gli agricoltori letteralmente senza niente. In meno di tre giorni si unirono a noi circa 20mila contadini, praticamente tutta la regione partecipò”, racconta Leonardo Rojas Díaz, che è il rappresentante dell’associazione contadina del Catatumbo AsCamCat (Asociación Campesina del Catatumbo) al tavolo dei negoziati con il governo.
Dopo 53 giorni di manifestazioni e scontri con l’Escuadrón Móvil Antidisturbios, un corpo speciale della Polizia colombiana, che portarono alla morte di quattro contadini e centinaia di feriti, venne aperto un dialogo con il governo. “Uno degli accordi firmati prevede l’indennizzo delle 400 famiglie vittima di sradicamento forzato, e sono stati negoziati investimenti infrastrutturali -prosegue Leonardo Rojas Díaz di AsCamCat-. La sostituzione delle coltivazioni deve essere sociale, graduale, concertata, ambientale e strutturale. Vorremmo inoltre utilizzare una parte delle coltivazioni di coca per la produzione di creme, analgesici, tè e rum. Un punto fondamentale della nostra proposta è la creazione di una Zona di riserva contadina in sette municipi del Catatumbo”.
AsCamCat ne attendeva la creazione da parte dell’Instituto Colombiano de Desarrollo Rural entro il 20 marzo scorso: la Zona di riserva contadina garantirebbe alcuni importanti diritti agli agricoltori, come la formalizzazione della proprietà, in un Paese in cui il 50% dei contadini non possiede legalmente la terra che coltiva. La Procura generale della Repubblica ha però fermato l’iter, a causa dell’interposizione di un ricorso di costituzionalità, e così AsCamCat ha risposto unendosi alle manifestazioni contadine nazionali, convocando una marcia che si è tenuta il 9 maggio 2014.
Le coltivazioni che possono avere un uso illecito sono uno dei punti in agenda nei dialoghi di pace che dal novembre 2012 si stanno svolgendo all’Avana, a Cuba, tra il governo colombiano e le FARC. Le richieste del gruppo guerrigliero sono simili a quelle dei cocaleros, e includono la sospensione delle fumigazioni aeree e l’indennizzo delle sue vittime. “Forse gli accordi di pace porteranno a un cambiamento della politica antidroga, ma la decisione non dovrebbe essere presa a causa di una richiesta delle FARC. Il governo interromperebbe le fumigazioni perché lo vogliono le FARC, e non perché esistono 15 anni di ricerche che dimostrano la loro inefficacia”, commenta il professor Daniel Mejía Londoño del CESED.
Il 16 maggio le parti hanno annunciato la firma dell’accordo, che entrerà in vigore solo se raggiungeranno un consenso anche sugli altri punti in agenda. Il governo ha promesso di creare un programma di sostituzione delle coltivazioni che possono avere un uso illecito, le FARC si sono impegnate a mettere fine alla loro relazione con il traffico di droga.
Articolo pubblicato dal mensile Altreconomia nel giugno 2014