Il futuro secondo i cubani
Daniel López guida la sua Fiat 650 azzurro fiammante del 1984 fra le strade quasi deserte dell’Avana. Con lo sguardo fisso sulla strada parla del tema del momento: il disgelo diplomatico con gli Stati Uniti. Il 20 luglio scorso i due paesi hanno ristabilito le relazioni e riaperto le ambasciate, e il 14 agosto il Segretario di Stato John Kerry è arrivato all’Avana per presenziare alla cerimonia ufficiale. Per la prima volta, dopo 70 anni, un Segretario di Stato statunitense ha toccato il suolo dell’isola.
Il giovane riconosce i risultati che l’isola ha raggiunto nella sanità e nell’educazione pubblica, ma si lamenta del suo salario da infermiere che nel tempo libero lo obbliga a lavorare come tassista informale. «Non credo che l’apertura nei confronti degli Stati Uniti porterà un miglioramento nei nostri salari, ma sicuramente arriveranno più turisti», dice.
Da quando, nel dicembre 2014, è stato annunciato il disgelo diplomatico, i viaggi degli statunitensi a Cuba sono cresciuti del 54 per cento rispetto all’anno precedente. Ma la riattivazione delle relazioni diplomatiche non comporta la loro normalizzazione. Perché questa avvenga, Cuba chiede la fine dell’embargo e l’indennizzo per i danni che ha causato, oltre alla restituzione del territorio in cui si trova la prigione di Guantanamo.
Il 28 luglio un membro del Congresso repubblicano e una democratica hanno presentato una proposta di legge per mettere fine all’embargo, appoggiata dal 59 per cento della popolazione e alcune lobbies intenzionate ad investire nell’isola, ma osteggiata dal Congresso che è in maggioranza repubblicano. Lo stesso Congresso che, ha assicurato la Casa Bianca, presto riceverà la bozza di un piano per chiudere la prigione di Guantanamo.
L’avvicinamento tra i due paesi è passato per una lunga fase di decostruzione degli stereotipi che entrambi i governi costruirono sull’altra parte. «Quando ero bambini si parlava degli Stati Uniti come di un paese in cui c’è molto razzismo, disuguaglianze e sfruttamento», racconta Mario Castillo, un maestro quarantenne. «Le cose sono andate cambiando. Negli anni ’90, quando è caduta l’Unione Sovietica, il governo cubano ha iniziato a distinguere lo stato nordamericano dalla sua società, il suo cinema e la sua letteratura; improvvisamente è apparsa l’immagine di un popolo che non conoscevamo. Dal 2000 il governo cubano ha promosso l’avvicinamento con la società civile statunitense, ad esempio attraverso incontri tra giovani socialisti, in modo che i nordamericani conoscessero il nostro paese e, una volta a casa, facessero pressione sul loro governo affinché cambiasse il suo atteggiamento nei confronti di Cuba».
A maggio l’orchestra sinfonica del Minnesota ha tenuto un concerto nell’isola e il mese seguente la squadra di calcio dei New York Cosmos è arrivata all’Avana per una storica amichevole con la nazionale cubana. Il governo nordamericano ha reso più flessibili i viaggi degli statunitensi a Cuba e ha dato il via libera alle connessioni aeree e marittime tra i due Paesi. Obama ha anche cancellato Cuba dalla lista dei Paesi che secondo il suo governo finanziano il terrorismo e da quella degli stati che, sempre secondo i nordamericani, sono complici del traffico di persone.
Anche l’Unione Europea è dello stesso avviso, e ha affiancato un dialogo sui diritti umani ai negoziati per l’apertura commerciale con Cuba. «Noi siamo preoccupati per la situazione dei diritti umani negli Stati Uniti, Europa e nel mondo intero, abbiamo profonde differenze con Stati Uniti ed Unione Europea nel definire cos’è un diritto umano», ribatte Leonel González dell’associazione cubana Centro Martin Luther King. «A Cuba, a causa della guerra con gli Stati Uniti, è stato dichiarato lo “stato di emergenza”, che ha limitato alcuni diritti come per esempio l’uso dei media. Ma ci sono milioni di europei che non hanno un lavoro, anche lì c’è una grande violazione dei diritti umani».
Alfredo, castrista di 75 anni che in gioventù ha partecipato alla battaglia della Baia dei Porci (1961), vede nella decisione di Obama l’ammissione del fallimento della sua politica verso Cuba, ma anche una minaccia per il governo di Castro. «Gli Stati Uniti non smetteranno di lottare contro il governo cubano. Lo faranno come lo hanno sempre fatto, in modo sotterraneo», dice Alfredo.
La figlia di Alfredo è migrata negli Stati Uniti dieci anni fa e sua moglie, che ogni anno la va a visitare, si aspetta grandi cose dalla possibile entrata delle imprese statunitensi nel paese. «Io spero che arrivino e portino sviluppo. Se mi fa paura l’entrata del capitalismo? No, visto che a Cuba già esiste e l’avvicinamento agli Stati Uniti è solo un passo in più in questa direzione».
Teresa si riferisce alle riforme di apertura dell’economia che Cuba sta promuovendo a seguito della crisi degli anni ’90, quando è caduta l’Unione Sovietica ed è venuto meno l’aiuto che concedeva all’isola. Dove prima esistevano solo imprese ed attività statali, sono arrivate le compagnie straniere e i turisti. Le generazioni cresciute dopo gli anni ’60 conobbero per la prima volta il consumismo e impararono a conviverci. «Culturalmente oggi molti cubani vogliono consumare, e spesso nei luoghi in cui il consumismo s’impone, il capitalismo avanza molto velocemente. Penso che questo sia un momento molto delicato per la rivoluzione cubana», avverte l’attivista e analista uruguaiano Raúl Zibechi.
La legge sugli investimenti stranieri dell’aprile 2014 legalizzò la presenza di imprese miste e a capitale totalmente straniero, che opererebbero nel nuovo porto di Mariel, una zona franca di 465.4 Km² dove le imprese godono di incentivi fiscali e doganali. Grazie anche alla vicinanza con lo sbocco del canale di Panama, il porto rappresenterà un hub di primaria importanza per le navi container in arrivo e in uscita dal continente americano, e potrà accogliere le nuove mega-navi chiamate Post-Panamax.
«Il carattere socialista di un paese non è determinato dalla piccola economia, ma dal fatto che i mezzi di produzione e i programmi fondamentali del paese sono nelle mani dello Stato, sotto il suo controllo e supervisione». Ma c’è chi pensa che l’isola abbia intrapreso un cammino che snatura il suo carattere socialista. «Cuba sta costruendo una società capitalista nello stile di Cina e Vietnam, con tutte le libertà per quanto riguarda il commercio e gli investimenti, ma senza le “libertà politiche” delle democrazie europee, e con un partito unico», afferma Isbel Díaz dell’associazione cubana Observatorio Crítico.