Le FARC abbandonano la lotta armata e fondano un partito politico
Ledis entrò nelle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) quando aveva 14 anni. Da lì a pochi anni, la guerriglia marxista le propose di studiare come odontoiatra, per curare i suoi compagni. “A quei tempi andavo all’Università vestita da civile per non essere riconosciuta, ma un disertore mi riconobbe e mi consegnò all’autorità”, racconta la combattente.
Ledis sta scontando 60 anni di carcere per ribellione, omicidio e sequestro, ma ha ricevuto un permesso speciale per poter partecipare come delegata alla X Conferenza Nazionale Guerrigliera, un evento in cui le FARC hanno approvato all’unanimità gli accordi di pace che il 26 settembre, dopo 52 anni di guerra, i loro leader firmeranno con il governo colombiano.
“Nel nostro orizzonte c’è sempre stata la prospettiva di una soluzione politica al conflitto. Per questo, la pace è la più bella delle vittorie”, ha affermato il comandante supremo delle FARC Timoleón Jiménez “Timochenko”, durante la chiusura della Conferenza Nazionale Guerrigliera. Gli ormai ex guerriglieri hanno annunciato la creazione di un partito politico e hanno promesso di rispettare gli accordi di pace, oltre che di riconoscere le responsabilità che hanno avuto nel conflitto.
Per la prima volta nella loro storia, le FARC hanno invitato la stampa alla loro conferenza, che si è svolta nella savana del Yarí, una spianata verde circondata dalla selva a sei ore dal primo centro abitato. Più di 350 media di tutto il mondo hanno avuto la possibilità di convivere per una settimana con i guerriglieri, nei loro accampamenti nascosti nella spessa vegetazione colombiana, ai bordi di fiumi che servono da bagno e da cucina. Documentando la loro capacità di adattarsi a vivere in un ambiente ostile come la selva, i loro ultimi giorni in armi, le loro storie e speranze per il futuro.
“La pace per me è quando lo Stato garantisce ai cittadini salute, educazione e una casa in cui vivere”, afferma Jaime García, che combatte nelle FARC da 21 anni. “Una volta che ci smobiliteremo, saremo disposti a lavorare dove i nostri leader decidano. Se potessi scegliere, a me piacerebbe studiare amministrazione di impresa e lavorare per il partito”.
Tra i guerriglieri c’è chi vorrebbe avere un incarico nel nuovo partito, chi vorrebbe studiare e chi preferisce ritornare a coltivare la terra. Alcuni sono così abituati alla vita nella guerriglia che non riescono ad immaginarsi integrati nella vita civile, e non hanno ancora preso una decisione.
La guerriglia più antica dell’America Latina abbandona le armi. Il governo colombiano ha dovuto riconoscere l’impossibilità di vincere militarmente le FARC che, malgrado indebolite, hanno resistito ai forti operativi militari lanciati dai governi di Álvaro Uribe a partire dal 2002. E dal suo canto, la guerriglia marxista si è vista obbligata ad ammettere che la conquista del potere era un sogno lontano, e che un esercito di 500mila effettivi addestrati e finanziati dagli Stati Uniti è un avversario troppo duro da vincere.
Quattro anni di negoziati che hanno portato a un accordo che prevede un processo graduale di consegna delle armi, fondi per finanziare la reincorporazione alla vita civile degli ex combattenti, la possibilità per il partito delle FARC di partecipare alle elezioni presidenziali del 2018, e 10 seggi assicurati nel Congresso.
L’accordo cerca anche di incidere sulle disuguaglianze sociali che stanno alla base del conflitto colombiano, con la redistribuzione di 10 milioni di ettari di terra a contadini che non ne hanno. E crea una Giurisdizione Speciale per la Pace per offrire verità, giustizia, riparazione e non ripetizione alle migliaia di vittime della guerriglia, dell’esercito e dei paramilitari.
Le FARC, al pari degli altri attori armati coinvolti nel conflitto colombiano, sono state accusate di numerosi crimini di lesa umanità –massacri, violazioni sessuali, reclutamento forzato anche di minorenni- e saranno giudicate in un tribunale dove si dovranno confrontare con le loro vittime. Lì potranno essere condannate a pene alternative.
Ma l’implementazione degli accordi di pace non può darsi per scontata. Ci sono dubbi riguardanti l’effettivo rispetto degli impegni delle parti, problemi finanziari che potrebbero impedire allo Stato di rendere concrete le promesse fatte, e un plebiscito che potrebbe rendere vani 4 anni di negoziati. Il 2 ottobre, la popolazione colombiana sarà chiamata a decidere se approvare gli accordi di pace o rifiutarli.
Articolo pubblicato da Il Fatto Quuotidiano il 27.09.2016.