Il Messico trema ancora
Fatima Navarra mandava messaggi dal suo cellulare mentre si trovava sepolta sotto le macerie della scuola Enrique Rébsamen, a Città del Messico. Dopo poche ore i soccorritori l’hanno salvata, ma 32 bambini e 4 insegnanti sono morti sotto i resti dell’istituto, a seguito dalla scossa che è stata registrata martedì all’ora di pranzo.
A solo due ore da un’esercitazione antisismica e a 32 anni esatti dal terremoto che, secondo la Croce Rossa Messicana, causò 15 mila morti. Questa volta ha avuto come epicentro lo Stato di Morelos, a circa 150 chilometri dalla capitale, dove si sono registrati i danni più gravi. In totale, i morti sono 225 ma la cifra è destinata a crescere.
Un sisma di 7,1 gradi della scala Richter, che a Città del Messico è stato avvertito come se fosse più intenso perché la metropoli è stata edificata su un’antica palude, che amplifica le onde causate dal sisma. L’asfalto nelle strade si alzava come se stesse respirando, gli edifici vacillavano. Nella sola capitale, 44 edifici sono completamente distrutti.
La gente si è riversata in strada, alcuni scalzi, altri piangendo. “Non state sui marciapiedi, mettetevi al centro della strada. Chiudete i rubinetti del gas, ci sono perdite”, gridava una signora che abbracciava il suo cagnolino.
Il Paseo de la Reforma, una delle arterie principali della città, si è riempita di persone in fuga dai grattacieli. Il traffico era in tilt, la gente deambulava per le strade senza meta per ore, non si poteva tornare in casa o in ufficio. “Stavo a Napoles, in palestra, il palazzo di fianco al nostro si è aperto come fosse un sandwich”, dice un giovane.
Pochi isolati più in là, la clinica Sanatorio Durango è stata evacuata. I pazienti erano per strada sui loro lettini, un gruppo di donne aveva organizzato un efficientissimo sistema di distribuzione di pasti. Alcuni dottori si sonoo riuniti intorno ad un’auto che ha la radio accesa per ascoltare le ultime notizie. Secondo alcune fonti, il vulcano Popocatépetl, che si trova a pochi chilometri dall’epicentro, ha espulso materiale incandescente. Scuotono la testa increduli. Qualche minuto più tardi arriva la dichiarazione dei sismologi: almeno su quel versante non c’è da preoccuparsi.
In questa zona della città, di quartieri di classe media-alta, sono tanti i danni. I marciapiedi sono pieni di vetri rotti e calcinacci. Alcuni piani sono collassati su quelli inferiori. Nella Calle Alvaro Obregón, un edificio è crollato. La polizia fa cordone e non lascia passare. Un gruppo di parrucchiere, con la maglietta della catena di negozi per cui lavorano, sono rimaste sedute su un marciapiede piene di polvere. Sono riuscite a scappare in tempo perché si trovavano al piano terra, ma chi si trovava ai piani superiori è ancora lì, sotto le macerie.
Militari e Protezione Civile sono da due giorni al lavoro assieme alle brigate di salvataggio Topos. Per ogni persona che si estrae dalle macerie, si sentono grida e applausi. Presto la notizia del crollo si muove di bocca in bocca e nelle reti sociali, malgrado i problemi di connessione derivati dalla mancanza di luce elettrica. Arrivano centinaia di persone: portano pale, picconi, acqua, medicine. Alcune imprese mettono a disposizione le proprie gru, i ferramenta regalano attrezzi. Si formano catene umane di centinaia di metri per trasportare gli aiuti a destinazione, o per portare via le macerie. Si creano brigate di ciclisti per trasferire gli aiuti da una parte all’altra della città. La solidarietà ricorda le immagini del 1985.
La notte si avvicina e si continuerà a scavare, servono torce. Alcuni alberghi aprono le porte ai terremotati, e si creano strutture di ricezione in centri sportivi o scuole. Arrivano viveri accompagnati da messaggi scritti a penna “non siete soli”, “siamo tutti con voi”.
“Lo solidarietà del popolo messicano con le vittime del terremoto è stata enorme, abbiamo già un numero sufficiente di volontari”, scrive mercoledì mattina in un comunicato la Universidad Autónoma de México, che ha organizzato brigate di soccorso.